Sbocciano “i primi germogli” della trasformazione digitale del sistema sanitario italiano. “Gli investimenti in sanità digitale in Italia nel 2024 sono arrivati a 2,47 miliardi di euro (+12% rispetto al 2023). E l’attuazione delle misure del Pnrr”, Piano nazionale di ripresa e resilienza, “sta producendo i primi risultati concreti, con la realizzazione delle piattaforme di telemedicina, la diffusione di soluzioni per la digitalizzazione degli ospedali e lo sviluppo del Fascicolo sanitario elettronico 2.0”. Lo rileva una ricerca dell‘Osservatorio sanità digitale del Politecnico di Milano, presentata a Milano giovedì 22 maggio.
“L’innovazione digitale non è solo una scelta strategica ma una necessità per garantire un sistema sanitario più equo, efficiente, al passo con le esigenze dei cittadini”, ha sottolineato il ministro della Salute Orazio Schillaci, in un video messaggio in occasione della presentazione della ricerca. “Con i fondi del Pnrr abbiamo avviato una stagione di rinnovamento senza precedenti. Penso a investimenti nella telemedicina, ma stiamo anche rafforzando strumenti strategici come il fascicolo digitale elettronico – ha aggiunto – Accanto a questo l’ecosistema dati sanitari in fase di sviluppo. Questa forte spinta all’innovazione e alla sanità digitale richiede però competenze avanzate adeguate, per questo abbiamo investito su un ampio programma di formazione. La sanità del domani sarà sempre più predittiva e personalizzata, lavoriamo però affinché questo cambiamento sia inclusivo, accessibile al servizio di tutti e ciò richiede collaborazione tra istituzioni, università, professionisti e cittadini”.
Il 36% dei medici specialisti coinvolti nella survey – condotta in collaborazione con Amd (diabetologi), Ame (endocrinologi), Fadoi (internisti), Homnya e Simfer (medicina fisica e riabilitazione) – e il 52% dei medici di medicina generale (Mmg), coinvolti grazie al contributo della Fimmg, hanno usato servizi di televisita, mentre il 30% degli specialisti e il 46% dei Mmg quelli di telemonitoraggio.
“Tuttavia – osservano gli autori – si tratta di un utilizzo ancora sporadico e non strutturato. Anche nella comunicazione con il cittadino-paziente si ricorre ancora spesso a strumenti non dedicati all’ambito sanitario”: secondo l’indagine svolta in collaborazione con Bva Doxa, 6 cittadini su 10 usano WhatsApp per comunicare con i loro medici, che mediamente impiegano 1 ora al giorno per la gestione di queste comunicazioni. “L’impiego strutturato di strumenti di comunicazione dedicati permetterebbe” invece “di recuperare complessivamente oltre 1 settimana lavorativa all’anno per ciascun medico”.
Il 41% dei cittadini – emerge ancora dalla ricerca – ha già utilizzato il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) e, tra questi, la maggior parte (60%) ha dato il consenso al trattamento dei dati, mentre un ulteriore 25% si dice disposto a farlo, soprattutto per poter fornire ai medici una visione completa e aggiornata della loro storia clinica. Parallelamente cresce l’adozione dell’intelligenza artificiale in sanità, il cui impatto sui processi clinici apre a “nuove opportunità”, ma suscita “anche interrogativi sulla gestione dei dati e l’integrazione nella pratica quotidiana”, sottolineano gli esperti.
Il 31% dei cittadini ha già utilizzato strumenti di Ai generativa e l‘11% lo ha fatto in ambito sanitario, in particolare per la ricerca di informazioni su problemi di salute, farmaci e terapie. La Gen Ai si diffonde anche nella pratica quotidiana dei professionisti sanitari: il 26% degli specialisti, il 46% dei Mmg e il 19% degli infermieri, questi ultimi coinvolti nella ricerca grazie alla collaborazione con la Federazione Ordini Fnopi, ne hanno già fatto uso, anche se quasi sempre utilizzando piattaforme generaliste e non dedicate all’uso clinico. “Grazie all’Ai – si evidenzia – ogni medico specialista oggi potrebbe risparmiare mediamente circa 2 giornate all’anno solo per la ricerca di informazioni scientifiche e 1 settimana in attività amministrative o di gestione operativa”.
Nella sanità digitale, secondo la ricerca – approfondisce una nota degli Osservatori Digital Innovation del PoliMi – in linea con lo scorso anno la cybersecurity si conferma l’ambito di innovazione prioritario per i decisori delle strutture sanitarie, coinvolte grazie alla collaborazione con Fiaso” – Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere, “che nel 69% prevedono un aumento degli investimenti rispetto al 2024. Seguono la cartella clinica elettronica (Cce), i servizi di telemedicina e i sistemi di integrazione con sistemi regionali e/o nazionali. Cresce inoltre l’attenzione verso i sistemi per la gestione e valorizzazione dei dati clinici, considerati sempre più strategici sia per l’alimentazione del Fse e la costruzione dell’Ecosistema dei dati sanitari (Eds), sia per una valorizzazione efficace dei dati raccolti. In questa direzione, l’Ai rafforza il suo ruolo strategico anche grazie a una crescente consapevolezza del suo potenziale applicativo tra gli attori del settore sanitario.
Come negli anni passati le aziende sanitarie evidenziano diversi ostacoli all’innovazione, tra cui la limitata disponibilità di risorse economiche (55%), la carenza di competenze (40%) e la scarsa cultura digitale nelle organizzazioni (34%); in aggiunta, quest’anno emerge una nuova criticità legata all’incertezza sulle risorse disponibili al termine del Pnrr (57%). Per gli autori del report “è quindi fondamentale definire strategie concrete che garantiscano la sostenibilità degli interventi nel medio-lungo periodo, assicurando continuità oltre l’orizzonte del supporto straordinario fornito dal Piano” nazionale di ripresa e resilienza.
Sul fronte telemedicina, “in attesa dell’operatività delle piattaforme regionali”, dalla survey “non si rileva ancora un impatto concreto delle azioni previste dal Pnrr”. Rispetto al 2023, nel 2024 risulta stabile l’utilizzo da parte dei professionisti sanitari che comunque “riconoscono gli impatti positivi della telemedicina”, riporta Cristina Masella, responsabile scientifico dell’Osservatorio sanità digitale. L’uso della telemedicina si conferma sostanzialmente stabile anche per i pazienti, che hanno partecipato alla ricerca grazie alla collaborazione con le associazioni Amr, Apmarr, Fand, FederAsma e Onconauti. Il telemonitoraggio risulta ancora poco diffuso (12%), pur essendo riconosciuto come uno degli strumenti più promettenti e con un impatto potenzialmente rilevante sul sistema sanitario.
Sul tema telemedicina, nell’indagine di quest’anno sono state coinvolte anche le farmacie, grazie al supporto di Federfarma. “Ad oggi – fa il punto Deborah De Cesare, direttrice dell’Osservatorio sanità digitale PoliMi – le farmacie risultano già attive nell’erogazione di servizi di telerefertazione e in particolare di telecardiologia, già offerta dall’80% delle strutture. Ma le farmacie si dicono interessate a erogare anche altre tipologie di servizi, come teledermatologia nel 56% dei casi e la telepolisonnografia nel 44%”.
Passando all’intelligenza artificiale, in sanità “nell’ultimo anno ha segnato un’accelerazione significativa”, proseguono gli autori del report: a livello europeo è stato approvato l’Ai Act; in Italia è in corso l’iter parlamentare di un disegno di legge dedicato ed è in fase di aggiudicazione la gara per lo sviluppo della piattaforma di Ai a supporto dell’assistenza primaria di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
Il risparmio del tempo dedicato alle attività amministrative, alla ‘burocrazia’, è uno degli impatti più rilevanti dell’Ai percepiti dai professionisti sanitari. L’Osservatorio sanità digitale ha calcolato “un risparmio potenziale di circa 1 settimana lavorativa” l’anno “per singolo medico specialista e circa 2 settimane per ciascun medico di famiglia in attività di tipo amministrativo o legate alla gestione operativa, grazie al ricorso all’Ai”. Commenta Emanuele Lettieri, responsabile scientifico dell’osservatorio: “Un utilizzo più diffuso dell’Ai potrebbe contribuire ad alleviare l’attuale stato di saturazione dei professionisti sanitari. Ma emergono anche preoccupazioni sugli utilizzi più evoluti dell’intelligenza artificiale a supporto delle decisioni cliniche: il 55% degli specialisti e il 47% dei Mmg indicano la mancanza di spiegazioni nei processi decisionali dell’Ai come un ostacolo alla sua piena integrazione nella pratica. Inoltre, circa 6 medici su 10 esprimono riserve riguardo alle possibili responsabilità medico-legali”.
L’intelligenza artificiale generativa prende sempre più piede anche tra i cittadini, che in sanità vi ricorrono soprattutto per cercare informazioni grazie alla rapidità nel reperirle (citata dal 50%) e alla facilità d’uso (44%). I temi più gettonati riguardano problemi di salute (47%), farmaci e terapie (39%). In generale, 1 cittadino su 3 ritiene che in prospettiva l’Ai possa portare più benefici che rischi e il 24% crede che l’Ai possa aiutare il medico a prendere decisioni più precise e rapide. Sono però ancora molti i cittadini preoccupati che l’Ai possa compromettere il rapporto umano con il medico (36%) o in qualche modo addirittura sostituirlo (29%)”.
Infine un focus su cartella clinica elettronica, Fascicolo sanitario elettronico ed Ecosistema dati sanitari. “Il supporto decisionale, anche tramite l’Ai, rappresenta una delle innovazioni più promettenti per l’evoluzione della sanità – considerano gli esperti – ma la sua efficacia dipende in larga parte dalla qualità e disponibilità dei dati sanitari, su cui nel tempo sono state evidenziate non poche lacune nel panorama italiano. Per questo è fondamentale investire sugli strumenti per la raccolta e l’integrazione dei dati, a livello aziendale, regionale e nazionale”.
Lo sviluppo della Cce rappresenta per gli autori della ricerca “uno snodo abilitante per la raccolta dei dati a livello locale. Oggi l’85% delle strutture ha una Cce attiva. Si rileva però un utilizzo della Cce tra i professionisti sanitari intorno al 62%, che, sebbene in lieve aumento rispetto allo scorso anno, non corrisponde pienamente agli investimenti in atto”. E il Fse? “L’uso da parte di cittadini e professionisti cresce moderatamente”, al 41% come detto, “per effetto degli investimenti in atto nelle diverse regioni in attività informative e formative. Tra i professionisti sanitari, a livello nazionale la percentuale di utilizzo si attesta intorno al 44% per gli specialisti e al 57% per i Mmg”.
Quanto all’Eds, conclude Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio sanità digitale PoliMi, l’ecosistema “abilita nuove modalità di raccolta, analisi e utilizzo dei dati a fini di programmazione, prevenzione e ricerca, con un’architettura federata e stratificata per garantire la protezione dei dati in base al livello di identificabilità. Lo sviluppo sia delle Cce sia del Fse 2.0 risultano essenziali anche per l’alimentazione dell’Eds, per mettere a disposizione di professionisti e cittadini i dati necessari in modo omogeneo a livello nazionale. Con la prospettiva di inserirsi poi in un contesto interoperabile a livello europeo, grazie allo European Health Data Space – Ehds“.