Buone notizie per le donne che si trovano ad affrontare un tumore dell’endometrio. L’autorità regolatoria ha da poco approvato l’estensione dell’indicazione in prima linea dell’immunoterapia a base di dostarlimab in combinazione con la chemioterapia per le pazienti “con carcinoma dell’endometrio primario avanzato o ricorrente con deficit del sistema di mismatch repair (dMMR) e elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H), candidate alla terapia sistemica”. Questa popolazione rappresenta il 20-30% dei tumori dell’endometrio primari avanzati o ricorrenti, che complessivamente è la quarta tipologia di tumore per incidenza nel genere femminile, con circa 9 mila nuovi casi l’anno.
Il via libera dell’autorità regolatoria arriva a poco più di un anno di distanza da quella europea e si basa sui risultati dello studio RUBY, che ha valutato l’efficacia dell’aggiunta di dostarlimab allo chemioterapia standard, carboplatino e paclitaxel, rispetto alla sola chemioterapia, nelle pazienti con le caratteristiche ricordate sopra. Che cosa ci ha detto il RUBY, che ha preso in esame 118 pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente dMMR/MSI-H con un follow-up mediano di oltre 2 anni (3 nel caso dell’analisi di sopravvivenza globale)? “Ha evidenziato – spiega la prof. Domenica Lorusso, direttore del programma di ginecologia oncologica dell’Humanitas San Pio X di Milano – una riduzione del 72% del rischio di progressione della malattia o di morte (HR: 0,28 [IC 95%: 0,16-0,50]) nelle pazienti dMMR/MSI-H trattate con la combinazione. Inoltre, in un’analisi esploratoria pre-specificata della sola sopravvivenza globale (OS) nella popolazione dMMR/MSI-H, l’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia ha determinato una riduzione del 68% del solo rischio di morte rispetto alla chemioterapia (HR: 0,32 [IC al 95% : 0,17-0,63])”.
Nel caso specifico, a 2 anni, il 61,4% delle pazienti dMMR/MSI-H trattate con dostarlimab e chemioterapia era libero da progressione o morte rispetto al 15,7% delle pazienti trattate con la sola chemioterapia standard. A 3 anni, il 78% delle pazienti trattate con dostarlimab e chemioterapia era vivo rispetto al 46% delle pazienti trattate con la chemioterapia. “Il RUBY – prosegue Lorusso – ha cambiato la pratica clinica per tutte le pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente dMMR/MSI-H. Il 72% di riduzione della progressione della malattia o di morte in donne con carcinoma dell’endometrio avanzato o recidivante, è un traguardo enorme, inimmaginabile. Significa soprattutto che le curve del RUBY ci mostrano che stiamo guarendo queste donne: un verbo, guarire, che non avrei mai immaginato di poter usare per tumori recidivanti o che esordiscono al quarto stadio. A questo punto non è utopia pensare che alcuni gruppi di pazienti potrebbero addirittura beneficiare della sola immunoterapia senza chemio”.
Il tumore dell’endometrio interessa il corpo dell’utero e, come anticipato, è estremamente frequente, con un trend in aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione. Si tratta infatti di una neoplasia del post menopausa, con una diagnosi intorno ai 60 anni. “Oggi nel campo dei tumori ginecologici – afferma Nicoletta Cerana, presidente di ACTO Italia-Alleanza contro il tumore ovarico – stiamo assistendo a una rivoluzione epocale. Dopo i successi della medicina personalizzata nella cura del tumore ovarico, accogliamo con entusiasmo questa opportunità terapeutica che apre nuove speranze di vita non solo ad ogni donna che sta lottando contro un tumore avanzato dell’endometrio, ma anche ai suoi familiari. Perché non bisogna mai dimenticare la tremenda capacità che un tumore femminile ha di ripercuotersi sul futuro dell’intera famiglia. Non a caso si dice che se sta bene la donna, sta bene la società”.
Per il tumore dell’endometrio purtroppo non esiste uno screening come il pap test per il collo dell’utero. La diagnosi è abbastanza semplice, perché è prevalentemente legata a un sintomo precoce: il sanguinamento anomalo in pre e postmenopausa, che va sempre approfondito con esami specifici.
Tra i fattori di rischio, oltre all’età, è ormai accertato un aumento in caso di obesità e diabete. Un ruolo lo gioca anche l’eccessiva esposizione agli estrogeni come avviene a fronte di un inizio precoce del ciclo mestruale (menarca precoce), di menopausa tardiva o assenza di gravidanze.
Altri fattori sono la familiarità e l’ereditarietà: in quest’ultimo caso la Sindrome di Lynch è una condizione ereditaria che aumenta il rischio di sviluppare sia un tumore dell’endometrio, sia del colon in età giovanile. Per questo è importante che in caso di diagnosi di Lynch i familiari della paziente vengano sottoposti allo specifico test genetico. E per tutto quello che abbiamo raccontato finora la ricerca è fondamentale.
Dice Elisabetta Campagnoli, direttore medico oncoematologia di GSK: “Da anni siamo impegnati nella ricerca e nello sviluppo di terapie innovative che possano fare la differenza per le pazienti, offrendo non solo tempo, ma anche una migliore qualità di vita. L’approvazione della combinazione di dostarlimab e chemioterapia rappresenta un passo significativo in questa direzione. Un risultato ottenuto grazie ad uno studio internazionale che ha visto coinvolti in Italia 8 centri”.
“Siamo determinati a continuare su questa strada – prosegue Campagnoli – investendo in ricerca e collaborando con la comunità scientifica per garantire che le innovazioni, tutte le innovazioni, arrivino rapidamente alle pazienti che ne hanno bisogno. Infine, consentitemi di sottolineare un altro elemento chiave del nostro approccio: la collaborazione con le associazioni pazienti. Crediamo fermamente che il dialogo continuo e il sostegno reciproco con queste organizzazioni siano fondamentali per comprendere meglio le esigenze delle donne affette da una patologia oncologica e per sviluppare soluzioni terapeutiche che rispondano ai loro bisogni reali”.