Sclerosi Multipla. Nel Lazio si scommette sul digitale per rendere coesa la presa in carico tra ospedale e territorio

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Nella tappa laziale del Regional Summit dedicato alla governance di una patologia complessa come la Sclerosi Multipla, la dimensione manageriale e organizzativa della presa in carico sembra prevalere sugli aspetti clinici che possono godere di un’elevata concentrazione di eccellenze.

Ci sono Regioni in cui gli aspetti e le problematiche di carattere clinico, nella presa in carico di un paziente con Sclerosi Multipla a volte possono prevalere su quelli organizzativi. Altre, dove per esempio è più alta la concentrazione di centri di eccellenza (anche se non equamente distribuiti sul territorio) così come il numero di persone che necessitano di cure e assistenza, la questione organizzativa sembra prevalere.

È questo il caso della Regione Lazio in cui grande attenzione si sta rivolgendo proprio alle dinamiche organizzative di presa in carico sul territorio cercando di ottimizzare da un lato il coordinamento tra grandi centri specialistici e dall’altro anche l’utilizzo di strumenti di sanità digitale utili sia per le numeriche in gioco, sia per l’estensione territoriale su cui agire.

Nella tappa laziale del Regional Summit dedicato alla governance di una patologia complessa come la Sclerosi Multipla la dimensione manageriale e organizzativa della presa in carico è sembrata dunque prevalere sugli aspetti clinici che possono godere di un’elevata concentrazione di eccellenze.

Paradigmatica in tal senso è l’esperienza in corso tra la Asl Roma 2 (una delle più grandi d’Italia) sul cui territorio insistono grandi centri di eccellenza ospedaliera/universitaria come il Policlinico di Tor Vergata e il Campus Biomedico.

Tra tutte le dimensioni facilitanti la presa in carico di un paziente con SM in un contesto come quello del Lazio e di Roma in particolare, a giudizio di Giorgio Casati, Direttore Generale della Asl Roma 2, quella della digitalizzazione è tra le più importanti.

“Il valore aggiunto che la digitalizzazione può offrire – sottolinea Casati – in situazioni dove ci sono pazienti che attraversano un sistema sanitario che non è fatto solo di unità operative diverse, ma addirittura di aziende diverse è enorme. Dove questa condizione si verifica è evidente che i buoni rapporti tra i professionisti possono facilitare il fluire del percorso, l’efficacia del percorso, ma è solo un processo di digitalizzazione della presa in carico che può garantire che i percorsi si possano sviluppare tutti nel miglior modo possibile. Siamo per questo impegnati – ha aggiunto – nel condividere un percorso che deve essere sviluppato tra strutture ospedaliere e strutture territoriali che si integrano attraverso la digitalizzazione. Di fatto creando un vero e proprio ecosistema composto da una grande azienda territoriale che ha un suo centro di riferimento per la sclerosi multipla e da altri due policlinici universitari, uno pubblico e l’altro privato convenzionato, entrambi dotati anch’essi di centri di eccellenza che si occupano di sclerosi multipla. Condividere i piani terapeutici significa in definitiva condividere il percorso che il paziente deve fare tanto in ospedale quanto sul territorio. Riuscendo, peraltro, a dimensionare la capacità complessiva di offerta per fare in modo che gli stessi percorsi effettivamente si sviluppino nel modo corretto secondo le esigenze dei singoli pazienti”.

Per avere un’idea di quanto complesso sia traguardare sinergie efficaci sul territorio, basti pensare non soltanto a come siano cambiate terapie e prospettive di cura ma anche di quante professionalità diverse siano oggi chiamate a collaborare lungo il percorso del paziente.

“Siamo oggi in grado di garantire certamente una migliore qualità di vita rispetto al passato nella maggior parte dei casi – sottolinea Girolama Alessandra Marfia, Associato di Neurologia a Tor Vergata – e questa evoluzione dello scenario terapeutico, contestualmente e di pari passo, ha aumentato progressivamente il livello di profilassi funzionale. Queste considerazioni hanno sicuramente definito la necessità di prevedere dei percorsi di cura adeguati che non possono non prevedere l’intervento di più specialisti di diverse discipline e di percorsi di cura che siano il più possibile standardizzati ed integrati non solo in ambito ospedaliero, ma che prevedano l’integrazione con la medicina territoriale”.

Fondamentalmente è a questo che mira il nuovo PDTA elaborato da Agenas concentrando l’attenzione, precisa Marfia “non solo in ambito diagnostico e terapeutico, ma anche in ambito riabilitativo, per esempio. Negli ultimi decenni è stato registrato sicuramente un aumento di prevalenza della patologia ma a questo non ha fatto seguito negli anni un adeguamento degli spazi nel canale dedicato alla presa in carico. Per questo il documento di Agenas propone per la prima volta di prevedere un numero minimo di professionisti sanitari in proporzione ai pazienti e sottolinea inoltre la necessità di creare nuove figure professionali all’interno del Centro clinico mettendo a fuoco l’importanza di figure come infermieri e manager, anche per implementare i percorsi specialistici legati ai piani ospedalieri, ma anche e soprattutto il dialogo con il territorio nelle sue dimensioni sanitarie e sociali. Oggi – sottolinea ancora Marfia – stiamo vivendo una fase di grande spinta verso il cambiamento, verso l’innovazione e le esperienze del recente passato che ci hanno portato a mettere in discussione le vecchie organizzazioni infrastrutturali e di sistema. Abbiamo l’opportunità, anche grazie ai fondi disponibili, di emergere, di ridisegnare il futuro ma dobbiamo farlo in maniera coraggiosa e in un’ottica sicuramente meno fisica”.

Scommettendo, in buona sostanza, nella dimensione digitale come infrastruttura generale in grado di sostenere e implementare il cambiamento.

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