Outlicensing: come le biotech cinesi stanno rimodellando il pharma

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Negli ultimi anni il mondo del pharma sta assistendo a un vero e proprio boom dell’outlicensing da parte delle biotech cinesi. Un fenomeno che sta contribuendo a rimodellare profondamente il panorama dell’industria farmaceutica.

Secondo una recente analisi di Jefferies Equity Research – la divisione di ricerca di Jefferies Financial Group, una delle principali banche d’investimento globali, con una forte specializzazione in sanità e biotecnologie  nel primo trimestre del 2025 ben il 32% del valore globale delle operazioni di outlicensing nel settore biotech è stato generato da aziende cinesi. Si tratta di una crescita significativa rispetto al 21% registrato negli anni 2023 e 2024, e ancora più marcata rispetto al 16% del 2022.

Questo dato conferma un trend ormai strutturale: le biotech cinesi si stanno sempre più affermando come fornitori chiave di asset innovativi per le grandi multinazionali del pharma, in particolare statunitensi.

Queste ultime si trovano oggi a dover affrontare contemporaneamente due sfide importanti: da un lato il calo di redditività dovuto alla scadenza dei brevetti, dall’altro le crescenti pressioni su prezzi e accesso ai farmaci. In questo contesto le aziende cinesi offrono una valida alternativa per integrare nuove soluzioni per i loro portfoli.

Ma cosa è esattamente l’outlicensing? Si tratta della concessione — parziale o totale — dei diritti di sviluppo, registrazione o commercializzazione di un farmaco (di solito ancora in fase preclinica o clinica) da parte di un’azienda originaria a un’altra realtà industriale generalmente più grande.

Per chi cede questi diritti, l’outlicensing rappresenta un modo per monetizzare i propri progetti o condividere i costi di sviluppo. Per chi li acquista, invece, è una “scorciatoia” per arricchire il proprio portafoglio con asset innovativi senza dover partire da zero.

Cina protagonista: know how e supply chain competitiva
Ma perché la Cina sta acquisendo un ruolo così centrale i  questo nuovo processo ? Le biotech cinesi offrono asset clinicamente validati a costi più bassi e con tempi di sviluppo più rapidi. Tutto ciò è dovuto principalmente a tre fattori: il forte sostegno governativo, la disponibilità di una forza lavoro altamente qualificata e una supply chain competitiva. Inoltre, la qualità dei dati clinici è in linea con gli standard globali
Tuttavia, secondo Jefferies, i contratti firmati con le aziende cinesi prevedono pagamenti upfront inferiori del 6070% a quelli stipulati con realtà di USA ed Europa, per un valore totale complessivo inferiore del 40–50%. Nonostante ciò, la pipeline di farmaci first-in-class cinesi è cresciuta in modo impressionante, con un aumento del 360% dal 2022, raggiungendo la quota di 639 candidati identificati.

Settori top: oncologia e malattie autoimmuni
Gli ambiti terapeutici che attirano maggiormente l’attenzione si operazioni di outlicensing sono quelli dell’oncologia — con particolare interesse per gli anticorpi coniugati (ADC) e i bispecifici PD-1/VEGF — delle malattie autoimmuni e di quelle cardiovascolari/metaboliche.

Tra le big pharma occidentali più attive nel concludere accordi con le biotech cinesi figurano Bristol Myers Squibb, Roche e MSD, mentre tra i maggiori investitori si distinguono BMS, Pfizer e Gilead.

 

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