Scompenso cardiaco. Le parole d’ordine sono interdisciplinarietà, assistenza territoriale e nuove tecnologie

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Colpisce quindici milioni di pazienti in Europa e il 2-3 per cento della popolazione in Italia, dove è la terza causa di ricovero ospedaliero con una spesa stimata per il SSN di oltre 650 milioni di euro all’anno. È lo scompenso cardiaco, una delle patologie croniche a maggiore a maggiore incidenza a cui Sics, con le sue testate Quotidiano Sanità e Popular Science, in collaborazione con AstraZeneca, ha dedicato il tavolo di confronto “National Summit” trasmesso ieri in diretta su tutti i canali web e social del gruppo. A parlare del tema sono stati parlamentari, clinici e rappresentanti dei pazienti. Perché una buona assistenza può nascere solo se c’è sinergia tra tutti questi soggetti.

Di questo sono convinti i partecipanti ospiti al National Summit: Sonia Fregolent, XII Commissione Permanente Igiene e Sanità; Angela Ianaro, XII Commissione Affari Sociali e XIV Commissione Politiche dell’Unione Europea; Maria Rosa Di Somma, Consigliere AISC (Associazione Italiana Scompensati Cardiaci); Salvatore Di Somma, Direttore Scientifico AISC (Associazione Italiana Scompensati Cardiaci); Domenico Gabrielli, Presidente ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri); Ciro Indolfi, Presidente SIC (Società Italiana di Cardiologia); Aldo Pietro Maggioni, Direttore Centro Studi ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri); Giuseppe Tarantini, Presidente GISE (Società Italiana di Cardiologia Interventistica); Stefano Urbinati, Presidente IFC (Italian Federation of Cardiology).

“Quelli dello scompenso cardiaco non sono solo numeri ma persone, famiglie”, ha aggiunto Sonia Fregolent, membro della XII Commissione Permanente Igiene e Sanità, per la quale “occorre fare in modo che ciascuna di queste persone sia messa nelle condizioni di continuare a svolgere la propria vita nelle migliori condizioni possibili”. Ma essenziale è anche “mettere le strutture sanitarie nella condizione di poter fare fronte a un aumento del carico assistenziale grazie al supporto di una rete territoriale che, per quanto esistente, va rafforzata e valorizzata”, ha aggiunto Fregolent.

Le esigenze dei pazienti sono chiare, secondo Salvatore Di Somma, direttore scientifico dell’Associazione Italiana Scompensati Cardiaci (AISC). “Nella mia duplice veste di cardiologo e di esponente dell’associazione che rappresenta gli scompensati cardiaci, posso dire che il paziente non vorrebbe essere ricoverato 3-4 volte all’anno a causa delle riacutizzazioni. Le riospedalizzazioni, peraltro – ha ricordato Di Somma -, sono legate a una mortalità più alta”. Ma come si può evitare la rioospedalizzazione? “Con la presenza sul territorio di un sistema più organizzato per migliorare la gestione della cronicità”, è la risposta.

Da questo punto di vista, i pazienti con scompenso vivono una situazione paradossale: “I numeri danno un’immagine molto chiara delle dimensioni del fenomeno. Però non dicono che è una patologia molto complessa da curare; che riguarda l’anziano che, quasi sempre, non ha solo lo scompenso cardiaco ma anche altre malattie croniche. Ciò fa sì che abbia bisogno di un sistema di cure più complicato. Eppure, a fronte di tale complessità, oggi non esistono centri per lo scompenso cardiaco sul territorio”, gli ha fatto eco Maria Rosa Di Somma, consigliere AISC.

Pazienti complessi
Quanto sia complicata la situazione del paziente con scompenso cardiaco è ben chiaro ai clinici. “Si tratta di una situazione clinica e assistenziale complessa, che coinvolge tantissime famiglie che esprimono bisogni di salute spesso lasciati – almeno parzialmente – insoddisfatti”, dice Domenico Gabrielli, presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). “Per questo non si può prescindere da nessun dei seguenti aspetti: formazione, governance, predisposizione di percorsi clinico assistenziali adeguati, interdisciplinarità e risorse, da un punto di vista umano, tecnico, economico”.

“Credo sia indispensabile, per la gestione di una malattia così variegata, la realizzazione di una rete di competenze. Il paziente deve essere seguito prima che lo scompenso si manifesti. Va trattata la fase acuta. Ma la parte più difficile dell’assistenza arriva quando è il momento di seguire questi pazienti a casa”, dice Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (SIC). Per Indolfi, dunque, “migliorare il trattamento significa creare una rete integrata di diverse personalità, tra cui includere la figura dell’infermiere, che in alcune nazioni riveste un ruolo fondamentale, ma che in Italia è ancora poco valorizzata”.

E l’accordo su questo aspetto è totale.

“L’ospedalizzazione di un paziente con scompenso cardiaco, vista l’avanzata età, ha molte cause che non sono legate solo al ripetersi delle instabilizzazioni del compenso”, commenta Aldo Pietro Maggioni, direttore del Centro Studi del’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). “Interdisciplinarietà significa gestione non solo cardiologica  ma multiprofessionale, dove tutti gli attori coinvolti sono assolutamente importanti se si vuole incidere sul peso di questa patologia per i pazienti e per il servizio sanitario nazionale. La distribuzione su scala nazionale di ambulatori capaci di gestire le richieste – ma anche di specialisti in grado di gestire in ambito ambulatoriale alcuni tipo di emergenze – potrebbe essere utile per prevenire le ospedalizzazioni di casi gestibili fuori dall’ospedale.

Ma qualcosa di simile esiste già. Stefano Urbinati, presidente IFC (Italian Federation of Cardiology) ha portato l’esperienza dell’area metropolitana di Bologna. “La risposta a questa patologia cronica, caratterizzata da frequenti riacutizzazioni, non può essere che una risposta di sistema, attraverso una migliore governance”. “Dei pazienti con scompenso cardiaco ricoverati, circa il 20% ha bisogno d’interventi per acuti, per esempio procedure interventistiche: e questi devono essere gestiti dalle Cardiologie. Ma una fetta importante, dopo il ricovero in Medicina o Geriatria, può essere seguito sul territorio. Nell’area metropolitana di Bologna è stata attivata una collaborazione con le Case della Salute e, grazie al coinvolgimento del medico di famiglia, dei servizi infermieristici e degli specialisti territoriali, è possibile dare a questi pazienti risposte importanti”.

Ci sono altre due interventi necessari, secondo Domenico Gabrielli. “L’adeguamento delle risorse e la riduzione delle incombenze burocratiche con facilitazione per pazienti e professionisti dei percorsi di cura”.

Angela Ianaro ha quindi assicurato l’attenzione della politica a queste tematiche. “A riprova della sensibilità presente, lo scorso 23 settembre, in Commissione Affari Sociali, abbiamo ascoltato in audizione l’associazione degli scompensati. In quella sede sono emerse tutte quelle criticità di cui abbiamo sentito parlare oggi: la mancanza di organizzazione territoriale, anche se con eccezioni per le regioni benchmark, la necessità d’interdisciplinarietà e di una maggiore digitalizzazione”. In questo senso, ha detto la Ianaro, “un tentativo importante, anche se non sufficiente, è previsto nella prossima legge di bilancio, in cui vengono destinati 4 miliardi alla sanità e in cui si prevedono investimenti anche per il reclutamento di personale medico e infermieristico, nonché per le borse di formazione specialistiche che sono state uno dei grandi problemi emersi negli anni passati, caratterizzati da tagli in sanità. Questa è la seconda legge di bilancio che, in materia di investimenti in sanità, inverte il segno meno in più”.

Covid rischio e opportunità
Intanto, però, ha ricordato Ciro Indolfi, “siamo in un periodo Covid in cui le difficoltà stanno diventando più evidenti. Abbiamo già denunciato che durante il periodo Covid sono saltate più di tre milioni di visite cardiologiche e si è registrato il 47 per cento di riduzione dei ricoveri pazienti con scompenso. Le conseguenze di questa mancate ospedalizzazioni e mancati trattamenti li osserveremo negli anni successivi: ed anche utilizzare letti di cardiologia per trattare pazienti Covid è un problema: la sanità bloccata dal virus farà più morti dell’infezione”.

Ma non è stato l’unico effetto della pandemia.

“Il covid ha reso evidente che c’è un problema di risorse nel nostro sistema sanitario. Che, va comunque ricordato, resta tra i migliori al mondo”, ha aggiunto il presidente della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) Giuseppe Tarantini, che ha sottolineato come anche nel campo della cardiologia interventistica si sia assistito a un drammatico blocco (“fino al 90%”) dell’attività elettiva durante il picco dell’epidemia, a primavera. “Adesso si avverte nuovamente la pressione del Covid, ma occorre fare di tutto per evitare che si ripeta il blocco di marzo: i ritardi per i pazienti potrebbero essere gravissimi. Allora – dice ancora Tarantini – occorre agire su tre punti. Innanzitutto evitare ritardi di riconoscimento e aggravamento: è importante che ci siano sistemi organizzati che ci consentano di avere un aggiornamento dello stato di salute di chi era in lista di attesa e, in caso di peggioramento, è necessario un ingresso rapido in ospedale o in una realtà ambulatoriale per effettuare le visite del caso. Poi è fondamentale che s’impedisca che si allunghino liste di attesa. Infine, occorre garantire che non ci sia diffusione del contagio negli ospedali. A marzo si è percepito che l’ospedale è un luogo di infezioni. Deve essere chiaro che negli ospedali si cura. Ma perché ciò avvenga è necessario riuscire a stabilire percorsi puliti per chi non può stare in lista d’attesa”.

Tuttavia, per certi aspetti “l’esperienza del Covid-19 è stata anche un’opportunità”, ha detto Salvatore Di Somma. “Il Covid ci ha permesso di sfruttare la tecnologia per assicurare a questi pazienti la tranquillità a domicilio. Negli ultimi anni ho imparato che i pazienti vogliono essere educati e formati e tantissimi sono perfettamente in grado di gestire la propria condizione con grande autonomia”

“Covid è stata la ‘scusa’ che ci ha consentito di tenere il paziente a casa in sicurezza con il telemonitoraggio e la telemedicina”, ha aggiunto Maria Rosa Di Somma. “Un altro esempio è stata la ricetta dematerializzata: abbiamo visto che è stato un grandissimo passo avanti per il paziente che non è più costretto ad andare in ambulatorio. Oggi tutte queste cose sono interventi in emergenza, ma dobbiamo trasformarle in realtà ordinaria per migliorare le cure per il paziente scompensato”.

Lucia Conti

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