Disclosure Code. La trasparenza come regola Etica…ma attenzione al “cronista curioso”

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“Ai nastri di partenza, in oltre 30 Paesi tra cui l’Italia, il Codice EFPIA (Federazione Europea delle Associazioni e delle Industrie Farmaceutiche) sulla trasparenza (Disclosure Code). Dal 30 giugno le imprese farmaceutiche aderenti a Farmindustria pubblicheranno i dati per l’anno precedente relativi sia ai rapporti di collaborazione con i medici e le Organizzazioni Sanitarie, sia alla Ricerca e Sviluppo. Una scelta – nell’ottica di un Sistema salute sempre più trasparente e attento ai bisogni degli italiani – che le imprese del farmaco hanno fatto con piena convinzione”.

È l’incipit del comunicato ufficiale con cui Farmindustria annuncia quella che sembra essere una vera e propria rivoluzione nel mondo della triangolazione comunicativa tra imprese, medici, cittadini e (quarto elemento che rischia di essere assai scomodo) media.

La cornice ufficiale del Ministero della Salute e la presenza del Ministro Lorenzin seduta tra il Presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, e il responsabile della comunicazione della Fnomceo e Presidente Omceo di Taranto, Cosimo Nume, non hanno dissipato le perplessità di una parte della stampa inviata alla presentazione dell’iniziativa.

Com’è noto il Codice prevede che ciascuna azienda associata a Farmindustria, in ottemperanza a quanto approvato a livello europea, pubblichi sul proprio sito i dati economici riguardanti rapporti di collaborazione intercorsi tra impresa e singolo professionista o società scientifica.

Una rivoluzione all’insegna della trasparenza, ha sottolineato Scaccabarozzi, e dal punto di vista delle imprese questa è una valutazione ineccepibile. Qualche problema, semmai, potrebbe sorgere non soltanto a livello generale, poiché solo i medici che hanno espresso esplicito consenso possono essere indicati (e se il tal prof. non c’è… perché non c’è…?), quanto a livello locale (immaginiamo l’agguerrita stampa di una piccola o media città di provincia… ma anche una trasmissione televisiva nazionale più smaliziata…) laddove il cronista curioso cominciasse a ricercare, sito per sito, la presenza o meno di quello o quest’altro professionista, primario o ricercatore… per non parlare delle Società scientifiche o anche di specifici settori come, per esempio, quello delle vaccinazioni nella diuturna lotta contro le associazioni antivax (che non aspettano altro…).

Dunque, il Disclosure Code è cosa sbagliata o giusta? Estremamente giusta e opportuna, ne siamo convinti,  a patto che questo onorevole cammino nel segno della trasparenza sia seguito e accompagnato, soprattutto dal punto di vista comunicativo, per fornire ai cittadini (ed anche a molti media) tutti gli elementi più corretti per interpretare, anche culturalmente, nel modo più corretto, il rapporto economico tra industria e clinici.

Sia che si parli di ricerca traslazionale (per citare l’esempio fatto dalla Lorenzin), sia di un evento Ecm.

La Farmindustria ha tirato fuori dal cilindro una prima proiezione pari al 70% di adesioni dei medici a scrivere il proprio nome sul sito di un azienda farmaceutica associato ad un finanziamento. Ottimo, diremmo, ma attenzione alla lettura distorta che in tanti potrebbero fare, soprattutto sotto la pigra ombra di un ombrellone in riva al mare.

Disvelare una realtà così all’improvviso, senza aver preparato alcun terreno concettuale, senza aver spiegato prima ai cittadini come si sperimenta un farmaco, perché i congressi siano importanti e non vacanze-premio, perché la scienza medica per crescere abbia bisogno anche e soprattutto di partnership e che ruolo abbia ed ha avuto l’impresa nel campo della ricerca biomedica, potrebbe rivelarsi un boomerang sia per le aziende sia, soprattutto, per i professionisti che si vedrebbero etichettati, molto più semplicemente e prosaicamente, come al soldo dell’industria.

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