Di fronte ad una pandemia di Covid-19 che prosegue la sua corsa e di fronte ad un virus che continua a circolare grazie alle sue varianti, tanti sono gli interrogativi a cui dare risposta. Cosa succederà in autunno? Saremo pronti ad affrontare lo scenario che si aprirà? Cosa dobbiamo fare ora per arrivare preparati? Le armi che abbiamo a disposizione per prevenire e curare l’infezione saranno sufficienti e riusciremo ad utilizzarle nel modo più appropriato? Di questo si è parlato nel corso dell’Impact Factor realizzato lo scorso 20 luglio da Sics e Popular Science, con il contributo non condizionante di GSK, dal titolo “Covid-19: come arrivare preparati a ottobre?”. A rispondere ai nostri quesiti il professore Claudio Mastroianni, Presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – Simit, e professore ordinario di Malattie Infettive all’Università Sapienza di Roma e il professore Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali – Simit, e professore ordinario di Malattie infettive all’Università Tor Vergata di Roma.
La grande circolazione del virus in periodo estivo ci ha insegnato che questo non è un virus ad andamento stagionale. È chiaro quindi che anche la lotta alla pandemia non può esserlo e le attività di prevenzione e cura della patologia devono essere pianificate sul lungo periodo per avere la possibilità di intervenire il più tempestivamente possibile. I vaccini rappresentano la vera chiave di volta del contrasto al Covid-19 proprio per la loro capacità di prevenire l’infezione. Il diffondersi delle varianti però rende in alcuni casi meno efficace il controllo previsto proprio dalla vaccinazione per la maggior capacità di escape delle nuove varianti. Nuovi vaccini arriveranno per l’autunno che consentiranno di proseguire la campagna di prevenzione, ma ciò non basta. I pazienti fragili, per patologie concomitanti, l’età o i farmaci che assumono, potrebbero non riuscire ad imbastire una risposta anticorpale adeguata. Farmaci antivirali e anticorpi monoclonali vanno quindi impiegati per la cura di questi pazienti. L’armamentario terapeutico a disposizione è ampio e consente di trattare tutti coloro che contraggono l’infezione. Ciò consente la personalizzazione della terapia e l’early treatment, vale a dire la somministrazione di farmaci entro i primi cinque giorni da quando il paziente è positivo, con sintomi ancora lievi o moderati e in cui la patologia Covid-19 non è ancora andata in progressione. In questo modo si possono prevenire tutta una serie di problematiche quali ospedalizzazione, l’ingresso in terapia intensiva ed anche esiti infausti.
Rispetto agli anni precedenti, ha detto il professor Claudio Mastroianni, la situazione odierna è molto diversa per tre ragioni: “una variante virale altamente contagiosa” testimoniata dalla “capacità di una persona di contagiare fino a 15-20 persone; il progressivo calo dell’efficacia dei vaccini, cioè l’esaurimento della risposta immunitaria legata alla vaccinazione e infine l’allentamento delle restrizioni”.
D’accordo anche il professor Massimo Andreoni il quale ha sottolineato come la pandemia, fin dagli esordi, è stata caratterizzata “dalla comparsa di nuove varianti”, cioè a dire virus sostanzialmente diversi da quello di partenza. Nello specifico la variante del virus Sars-CoV-2, ora in circolazione, presenta, oltre all’alta trasmissibilità, anche altre tre caratteristiche: una riguarda la “patogenicità, cioè quanto la nuova variante è in grado di determinare malattia nel soggetto”, l’altra è la capacità di “riuscire ad annullare quella che è la risposta immunitaria di una persona”. In altre parole, ha spiegato Andreoni, “se la variante si è modificata, una persona che ha costruito un’immunità nei confronti del virus, sia perché si è infettata precedentemente sia perché è stata vaccinata, può non riuscire a contenere in maniera egregia il nuovo virus”. Ultima caratteristica di questa variante è la capacità di “non rispondere ai farmaci antivirali oppure di evadere alla capacità di contenimento degli anticorpi monoclonali”, che sono i farmaci a disposizione oggi per la cura del Covid-19.
Questi medicinali risultano essere efficaci nel ridurre il rischio di progressione della malattia se somministrati precocemente “entro possibilmente cinque giorni dall’inizio dei sintomi”, ha precisato il Direttore Scientifico della Simit. Inoltre gli anticorpi monoclonali, che sono farmaci “altamente selettivi che riconoscono delle zone molto precise degli epitopi antigenici del virus e lo neutralizzano, cioè gli impediscono di entrare all’interno delle cellule, quindi di replicarsi”, vengono attualmente utilizzati “non solo per il trattamento precoce, come con i farmaci antivirali, ma anche nella prevenzione dell’infezione, sia come profilassi post-esposizione sia come profilassi pre-esposizione”.
Ciò è di estrema importanza nell’ottica della personalizzazione della cura. Avere la possibilità di utilizzare per ciascun paziente il farmaco che sarà più efficacie in base alle sue caratteristiche può fare la differenza. In particolare, il trattamento pre-esposizione di cui ha parlato il Prof. Andreoni è importante per i pazienti fragili “immunodepressi gravi in cui la malattia potrebbe determinare un gravissimo quadro, ma che, soprattutto per il grado di immunodepressione, non rispondono alla vaccinazione e quindi, seppur vaccinati, non riescono a presentare una risposta anticorpale efficace”.
Contestualizzare il contesto clinico “il setting in cui si trova il paziente”, come ha precisato Mastroianni, è fondamentale per delineare il “profilo di rischio del paziente. Noi abbiamo dei pazienti che non hanno nessun rischio di sviluppare una malattia severa e in questo caso è assolutamente utile fare un semplice monitoraggio, oppure fornire dei farmaci antinfiammatori e quindi una gestione a domicilio è assolutamente tranquilla”, ha proseguito il Presidente Simit. Vi è poi un altro aspetto importante che è quello “di caratterizzare il paziente con fattori di rischio, quindi il paziente fragile, immunocompromesso con comorbidità”.
Da questo punto di vista, la Simit ha sviluppato nel corso della pandemia tutta una serie di documenti e linee guida pensati proprio per dare indicazioni operative, in una prima fase “su come gestire i pazienti ospedalizzati gravi” e in una seconda fase su come trattare precocemente i pazienti con i nuovi farmaci a disposizione. E questo sia a livello nazionale, sia a livello regionale. “Nuove acquisizioni di nuovi farmaci arriveranno, nuove terapie arriveranno. Quindi ci sarà un aggiornamento continuo; credo che il compito di una società scientifica come la nostra sia fondamentale per redigere e aggiornare questi documenti”, ha aggiunto Mastroianni.
Le armi per arrivare preparati all’autunno e per affrontare il possibile arrivo di nuove varianti ci sono, ma “la cosa più importante è evitare quegli errori di programmazione che non ci hanno consentito di contrastare nelle prime fasi”, ha ricordato Mastroianni, nonostante “una situazione, da un punto di vista gestionale, migliore rispetto a due anni fa”. Per Mastroianni bisognerà essere preparati a gestire i pazienti non ospedalizzati e a proposito questo ricorda che ora anche “medici di medicina generale possono prescrivere gli antivirali” e bisognerà essere preparati a trattare le infezioni gravi e i soggetti fragili in cura per altre patologie. Anche per questo l’esperto ha ricordato, ancora, l’importanza della vaccinazione: È necessario “avere fiducia nei vaccini, perché sono quelli che hanno principalmente modificato la storia di questa malattia e ci hanno consentito di evitare parecchie ospedalizzazioni, parecchi morti”, ha ribadito. “Dovremmo essere tutti vaccinati quando avremo a disposizione anche i nuovi vaccini”.
Dello stesso avviso è anche Massimo Andreoni che ha invitato ad avere “grande senso di responsabilità” perché “il contrasto alle pandemie si può fare solo se tutti insieme ci impegniamo a cercare di fermare la circolazione del virus e questo evidentemente comporta il senso civico di vivere all’interno di una comunità e seguire quelle che sono le regole che la comunità ci dà”. Il senso di responsabilità invocato da Andreoni deve riguardare anche il personale sanitario che deve dimostrare compattezza e “ utilizzare al meglio quelle che sono le armi che la scienza ci ha dato. Le vaccinazioni. I farmaci antivirali, i monoclonali devono essere utilizzati e in questo momento c’è una sotto utilizzazione”. La conclusione dell’esperto suona come un monito: “sembra assurdo pensare che quando finalmente abbiamo delle buone armi non le usiamo”, ha detto.
L’invito dunque è quello a fare tesoro dei due anni passati a combattere la pandemia, ad utilizzare al meglio le armi a disposizione, quali la vaccinazione, i farmaci antivirali e gli anticorpi monoclonali e ad una programmazione capillare a livello nazionale e territoriale che veda alleate Istituzioni, clinici e Società Scientifiche per assicurare un armamentario terapeutico completo per la gestione del Covid-19 nelle diverse fasi.