AstraZeneca: durvalumab più TACE e bevacizumab riduce il rischio di progressione di malattia o di morte del 23% rispetto a TACE nel tumore del fegato eleggibile per l’embolizzazione

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Buone notizie per la terapia del tumore del fegato. I risultati positivi dello studio di Fase III EMERALD-1 mostrano come durvalumab, in combinazione con TACE (chemioembolizzazione transarteriosa) e bevacizumab, abbia prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante dell’endpoint primario di sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola TACE nei pazienti con carcinoma epatocellulare (HCC) eleggibile per l’embolizzazione.

Questi risultati sono presentati venerdì 19 gennaio all’American Society of Clinical Oncology Gastrointestinal Cancers Symposium (ASCO GI) a San Francisco dal professor Riccardo Lencioni dell’Università di Pisa.

Circa il 20-30% dei pazienti con carcinoma epatocellulare, il più comune tumore del fegato, è eleggibile per l’embolizzazione, una procedura che blocca l’afflusso di sangue al tumore e permette di somministrare la chemioterapia o la radioterapia direttamente al fegato. Nonostante sia lo standard di cura in questo setting, la maggior parte dei pazienti embolizzati presenta progressione di malattia o recidiva entro un anno.

Lo studio EMERALD-1
Nello studio EMERALD-1, il trattamento con durvalumab più TACE e bevacizumab ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 23% rispetto alla sola TACE (rapporto di rischio [HR] 0,77; intervallo di confidenza [CI] 95% 0,61-0,98; p=0,032).

La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata di 15 mesi nei pazienti trattati con la combinazione con durvalumab rispetto a 8,2 mesi con TACE. Il beneficio di sopravvivenza libera da progressione (PFS) osservato è stato generalmente coerente nei principali sottogruppi predefiniti.

L’endpoint secondario del tempo alla progressione (TTP) supporta ulteriormente il beneficio clinico di durvalumab più TACE e bevacizumab in questo setting, con un TTP mediano di 22 mesi rispetto a 10 mesi con TACE (HR 0,63; CI 95% 0,48-0,82).

Lo studio continuerà ad analizzare l’endpoint secondario principale di sopravvivenza globale (OS).

“In questo contesto di malattia, la chemioembolizzazione rappresenta lo standard di cura da più di 20 anni – afferma il professor Lencioni -. I dati presentati oggi dimostrano come un approccio terapeutico combinato, che comprenda, oltre alla chemioembolizzazione, un trattamento sistemico con durvalumab e bevacizumab, sia in grado di aumentare in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione”.

I dati italiani
“Nel 2023, in Italia, sono stati stimati 12.200 nuovi casi di tumore del fegato – spiega Vincenzo Mazzaferro, Professore di Chirurgia all’Università degli Studi di Milano e Direttore della Chirurgia Oncologica (epato-gastro-pancreatica) e Trapianto di Fegato alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – I principali fattori di rischio sono costituiti da patologie come l’epatite B e l’epatite C, sindrome metabolica e abuso di alcol. Tutti i pazienti che hanno sviluppato una forma di epatite devono sottoporsi a controlli epatologici frequenti, per monitorare l’andamento dell’infezione, trattarla e diagnosticare precocemente l’eventuale sviluppo del tumore del fegato. L’immunoterapia con durvalumab ha già dimostrato di essere efficace nella malattia metastatica. Lo studio EMERALD-1 evidenzia il ruolo importante dell’immunoterapia in combinazione con la chemioembolizzazione, quando il tumore è confinato al fegato e la funzionalità epatica non è compromessa. Alcuni di questi pazienti possono raggiungere livelli di risposta tumorale compatibili con terapie curative come la resezione del tumore o il trapianto”.

Il profilo di sicurezza di durvalumab più TACE e bevacizumab è risultato generalmente gestibile e coerente con il profilo già noto di ogni farmaco. Il numero di procedure TACE è risultato coerente tra i bracci. Non sono stati rilevati nuovi segnali di sicurezza. Eventi avversi di Grado 3 e 4 si sono verificati nel 45,5% dei pazienti trattati con durvalumab più TACE e bevacizumab e nel 23% di quelli trattati con la sola TACE.

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