Asma grave. Colpisce circa 300 mila italiani, ma è ancora sottodiagnosticata. E il 38% di chi ne soffre non ne ha il controllo

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L’asma grave è una patologia complessa, ma ancora poco diagnosticata e mal gestita dal sistema sanitario italiano. Tutto questo provoca gravi conseguenze sul malato, ma ha anche un forte impatto economico in termini di costi diretti e indiretti. Senza dimenticare le ripercussioni sulla qualità della vita dei pazienti. E parliamo di ben 300 mila italiani. A tanto ammontano, infatti, le persone colpite dalla forma più severe di asma su un totale di 3 milioni di italiani malati di asma.

Di tutto questo si è parlato nel National Summit “Asma grave. Aspetti clinici e organizzativi” promosso il 25 giugno scorso da Quotidiano Sanità e Popular Science, sostenuto incondizionatamente da Astrazeneca, e che ha visto la partecipazione di Giorgio L. Colombo (Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia), di Giacomo M. Bruno e di Sergio Di Matteo (S.A.V.E. Studi Analisi Valutazioni Economiche S.r.l., Milano), di Walter Gatti (Direttore Editoriale IHPB), di Filippo Rumi (Ricercatore ALTEMS) e di Alessandro Monaco (General manager Oliba srl).

Il primo dato evidenziato nel webinar è stato quello inerente al 38% circa dei pazienti con asma grave che non controlla in modo adeguato i sintomi della malattia. Si stima, solo per fare un esempio, che a causa degli eventi avversi da cortisone i pazienti con asma grave costino al nostro Paese 75 milioni di euro in più rispetto ai pazienti con asma moderata.

Appare del tutto evidente, dunque, l’importanza di migliorare la gestione del paziente. Ma questo non può prescindere dalla capacità di presa in carico del sistema. Anche perché, come ha illustrato Colombo, all’asma severa si associano tutta una serie di altre malattie. Che, a loro volta, “condizionano il controllo ottimale dell’asma e la risposta alle terapie farmacologiche”.

L’esperto dell’Università di Pavia ha quindi illustrato alcuni numeri inerenti il costo diretto e indiretto della malattia. La spesa medica annua di un paziente adulto affetto da asma trattato farmacologicamente è pari a circa 2 mila euro. Di questi, il 71% è costituito da costi sanitari diretti e il resto da costi indiretti dovuti alla perdita di produttività. I farmaci impattano per il 32%, con una spesa procapite di circa 400 euro. Le giornate di lavoro perdute in un anno da un paziente asmatico in età lavorativa sono in media 8.

Altre caratteristiche che accomunano i pazienti con asma grave sono state descritte da Giacomo Bruno e Sergio Di Matteo attraverso i risultati dello studio Hercuels realizzato dell’ambito del progetto Sani (Severe Ashma Network in Italy), un network di centri di eccellenza nella cura dell’asma grave che, oltre a proporre soluzioni terapeutiche, vuole essere un osservatorio sulla malattia.

Dai dati estratti dai 29 centri di eccellenza di 9 regioni, per un totale di 459 pazienti, è emerso, ad esempio, che l’85% dei malati ha ricevuto una diagnosi di asma grave dopo i 18 anni di età. Tra le comorbilità più rilevanti, oltre il 60% dei pazienti soffre (55%) o ha sofferto (7%) di rinite, la poliposi nasale colpisce il 41% dei pazienti e il reflusso è stato accertato nel 32%. Le malattie del sistema cardiovascolare coinvolgono invece il 33% dei campione.

Situazioni che fanno lievitare anche i costi di gestione di un paziente, che passa da circa 2000 euro annui per un paziente asmatico lieve a oltre 5mila euro per un paziente asmatico grave. E ad impattare di più, secondo i dati dello studio Hercules, sono proprio le comorbilità, mentre le visite e ai test diagnostici sono al di sotto dei 100 euro all’anno.

Una delle questioni più rilevanti è, come accennato, quella della diagnosi tempestiva. E qui giocherebbe un ruolo fondamentale anche il Pronto Soccorso, considerato l’alto numero di accessi per eventi acuti di asma. Ma in questo ambito, i PS italiani appaiono ancora distanti da un risultato ottimale. Lo dimostra l’analisi dell’Italian Health Policy Brief illustrata dal direttore Walter Gatti. “Il rischio – ha spiegato – è che il paziente che accede al PS sia riconosciuto come asmatico, ma non come asmatico grave”.

L’analisi dell’Italian Health Policy Brief ha quindi voluto ricostruire la gestione del paziente asmatico in PS. Dalla ricerca emerge che meno della metà dei PS (48%) ha definito un protocollo interno per la gestione del paziente con asma grave, solo il 38% ha definito un protocollo per il follow up e meno di un terzo degli ospedali (29%) ha un team multidisciplinare per il setting completo del paziente. E così il 52% dei pazienti è dimesso dal PS senza un piano di follow up, il 26% dei pazienti è inviato solo al medico di medicina generale senza una presa in carico specialistica. Una delle conseguenze è che i paziente che avevano avuto accessi alle strutture con protocollo va incontro a un minor numero di riacutizzazioni e nuovi accessi al PS.

Sempre in tema di Pronto Soccorso, Filippo Rumi, ricercatore Altems, ha presentato i risultati di uno studio di cost-of-illness che ha preso in esame 795 cartelle di accessi al PS, 34 in codice rosso (il 4%), 183 in codice giallo (il 23%) e 578 in codice verde (il 73%). “Al momento della dimissione solo il 2% ha ricevuto una diagnosi di asma grave, l’88% di alla e il 10% una diagnosi di altro tipo. Questi dati confermano quanto sia difficile, allo stato attuale, diagnosticare la forma severa di asma”. Il 91% dei pazienti era stato dimesso dopo 36 ore dall’accesso, “nel 71% dei casi con l’invio allo pneumologo ambulatoriale”. Quanto alla terapia prescritta durante la fase acuta e in quella di dimissione, ad avere la meglio sono il cortisone e i Saba, con una percentuale del 30% circa.

A chiudere gli interventi l’esperienza di Nerea, il Network Regionale Asma Grave che si vorrebbe consolidare nella Regione Lazio. “C’è bisogno di modelli integrati di gestione del paziente”, ha spiegato Alessandro Monaco. “Dal Network è emersa, in particolare, l’urgenza di un percorso integrato di diagnosi e presa in carico ospedale -territorio, ma anche di educazione sanitaria in termini sia di corretti stili di vita che di capacità di autogestione della malattia. Un contributo può inoltre arrivare dalla tecnologia e dall’implementazione delle piattaforme informatiche per la gestione dei dati”.

“Per il Network – ha detto ancora Monaco – un passo fondamentale è l’intercettazione dei pazienti ad altro rischio, da indirizzare verso percorsi specifici di presa in carico”. Il lavoro del Network, ha spiegato il general manager di Oliba Srl, è partito da una posizione “paziente-centrica”. “I pazienti sono disorientati e chiedono di potere avere un centro di riferimento, una diagnosi rapida e coordinata, un sistema facile per interfacciarsi con specialisti. Chiedono di essere seguiti da un centro e di essere informati costantemente. Chiedono di avere un piano di trattamento da seguire”.

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