Il presidente Donald Trump e il Segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. stanno valutando misure che renderebbero più costosa – e potenzialmente più difficile – la pubblicità diretta al consumatore (DTC) da parte delle aziende farmaceutiche. Lo riferisce Bloomberg, citando fonti vicine all’Amministrazione.
Tra le opzioni allo studio ci sarebbe l’eliminazione della possibilità per le pharma di dedurre dalle tasse le spese per la pubblicità DTC, trattandole come normali costi aziendali. Un’ulteriore proposta prevederebbe l’obbligo per le pubblicità di includere informazioni più approfondite sugli effetti collaterali dei farmaci. Una mossa che, secondo gli analisti della società francese ODDO BHF, “renderebbe probabilmente gli spot più lunghi e quindi più costosi”.
Il dibattito riaccende una questione annosa: quella della regolazione della pubblicità dei farmaci da prescrizione. Solo pochi giorni fa i senatori indipendenti Bernie Sanders (Vermont) e Angus King (Maine) hanno presentato il disegno di legge The End Prescription Drug Ads Now Act, che -se approvato – vieterà la pubblicità DTC su TV, radio, stampa, piattaforme digitali e social media.
Tentativi simili, risalenti agli anni Settanta, sono stati più volte respinti dalla giustizia americana, che ha riconosciuto la fattispecie della protezione delle pubblicità farmaceutiche all’interno del Primo Emendamento sulla libertà di espressione. Recentemente, però, la giurisprudenza e i regolamenti si sono fatti più restrittivi. Lo scorso anno, ad esempio, la FDA ha aggiornato le regole per gli spot radiotelevisivi, imponendo alle aziende di includere una “dichiarazione principale” sugli effetti avversi, presentata in modo “chiaro, evidente e neutrale”.
Secondo l’agenzia di analisi finanziaria Intron Health, un eventuale giro di vite avrebbe un impatto diretto sui ricavi delle pharma. Il ROI delle campagne DTC è infatti stimato tra il 100% e il 500%, a seconda del farmaco pubblicizzato. In caso di stretta normativa, le aziende farmaceutiche subirebbero quasi certamente un calo delle vendite, pur beneficiando di un contenimento delle spese marketing.
Le aziende più esposte
A rischiare di più in caso di limitazioni sarebbero le aziende con un forte investimento in campagne dirette al consumatore. Tra queste, AbbVie, con Skyrizi e Rinvoq; Regeneron e Sanofi con il blockbuster Dupixent; Eli Lilly e Novo Nordisk, attive in questo canale di marketing con i loro portfoli di farmaci per diabete e obesità.
I numeri confermano il trend: nel primo trimestre 2025 la spesa pubblicitaria in TV negli Stati Uniti è aumentata del 30% rispetto allo stesso periodo del 2024. Tra i principali investitori figurano Johnson & Johnson (Tremfya), Novartis (Pluvicto), e la coppia Lundbeck–Otsuka per Rexulti.
“Riteniamo che eventuali restrizioni avranno sicuramente un impatto, soprattutto sulla crescita delle vendite di trattamenti meno noti, con campagne pubblicitarie meno mirate e costi potenzialmente più elevati”, scrivono gli analisti di ODDO BHF. “L’impatto sarà probabilmente limitato per farmaci blockbuster come Dupixent e Ozempic, già ampiamente conosciuti da medici e pazienti. Mentre i nuovi trattamenti in fase di lancio – per i quali le attività promozionali sono fondamentali – potrebbero subire contraccolpi significativi”.