Allogene: presto un impianto USA per nuove terapie CAR T

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Allogene Therapeutics costruirà altro impianto di produzione destinato alle terapie CAR T negli Stati Uniti.

La biotech ha a disposizione un ottimo budget e molti candidati. Ma a differenza dei trattamenti CAR T attualmente approvati, sta cercando di utilizzare cellule T da donatori che possano semplificare i processi di produzione molto complessi.

Allogene ha annunciato di avere stipulato un contratto di affitto che le consentirà di sviluppare un impianto di produzione a Newark, in California, nell’area di San Francisco.

La struttura è progettata per offrire sia forniture cliniche che prodotti commerciali, se Allogene dovesse raggiungere gli obiettivi con uno dei suoi candidati.

“Costruire capacità produttive è il fulcro della nostra strategia per offrire una terapia cellulare immediatamente disponibile che sia più veloce, più affidabile e diffusa su una scala più ampia”, ha detto in una nota Alison Moore, responsabile tecnologico di Allogene. “Il continuo miglioramento delle capacità di sviluppo e l’organizzazione delle procedure interne ci consentirà di migliorare la produzione e assicurare la fornitura delle nostre terapie CAR T”.

Allogene è stata lanciata ad aprile da Arie Belldegrun e David Chang, ex dirigenti di Kite, società che si occupa CAR T ora di proprietà di Gilead. Hanno raccolto circa 700 milioni di dollari di finanziamento e dispongono di una serie di candidati preclinici allogenici di tipo CAR-T.

Mentre i due trattamenti CAR T oncologici approvati dalla FDA, ossia Kymriah di Novartis e Yescarta di Gilead, sono costituiti da cellule T autologhe prelevate direttamente dai pazienti, Allogene sta studiando l’uso di cellule T allogeniche provenienti da donatori che possono essere conservate per il cosiddetto impiego “dallo scaffale”.

Il CFO Eric Schmidt ha affermato che se Allogene ci riuscirà, l’impatto potrebbe “essere dirompente sulla situazione attuale”.

Sarà un processo complesso poiché i geni all’interno delle cellule T devono essere modificati per ridurre il rischio di rigetto del trapianto allogenico, spiega la biotech.

Come per l’approccio autologo, i prodotti devono essere crioconservati per essere poi consegnati alle strutture che li somministrano ai pazienti.

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