Studio Gavi-Burnet Institute: con le vaccinazioni d’emergenza 60% di decessi evitati dal 2000

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In 23 anni di osservazione le campagne di vaccinazione d’emergenza hanno evitato oltre la metà dei decessi provocati da cinque tra le più pericolose malattie infettive: colera, Ebola, morbillo, meningite e febbre gialla. Lo rivela uno studio pubblicato da BMJ Global Health e condotto dall’australiano Burnet Institute in collaborazione con Gavi, the Vaccine Alliance, che ha analizzato l’impatto di 210 risposte vaccinali in 49 Paesi a basso reddito.

Secondo quanto emerso dallo studio – che comprende rilevazioni fino al 2023 – le campagne messe in atto tra il 2000 e il 2023 hanno portato a una riduzione media di quasi il 60% dei decessi e dei casi di malattia, generando al tempo stesso almeno 32 miliardi di dollari di benefici economici.

Una cifra che, a parere degli autori, è anche ampiamente sottostimata: non include infatti i costi evitati delle risposte alle crisi sanitarie, né gli impatti sociali ed economici delle eventuali epidemie sfuggite al controllo.

“Per la prima volta possiamo quantificare in modo sistematico il valore, umano ed economico, delle vaccinazioni d’emergenza”, commenta Sania Nishtar, CEO di Gavi, “Questo studio conferma quanto sia urgente e strategico continuare a finanziare l’Alleanza per fronteggiare le epidemie che mettono a rischio la salute globale”.

Ebola e febbre gialla, le risposte più efficaci
Tra le malattie analizzate, la febbre gialla e l’Ebola mostrano gli impatti più rilevanti: rispettivamente il 99% e il 76% dei decessi sono stati evitati grazie alla disponibilità tempestiva di vaccini nelle fasi iniziali delle epidemie. In particolare, dopo l’epidemia del 2014, costata oltre 53 miliardi di dollari ai Paesi dell’Africa occidentale, Gavi ha stoccato scorte globali accessibili a tutti i Paesi e ha avviato campagne preventive nei territori ad alto rischio.

Bene anche il morbillo (decessi ridotti del 52%), la meningite (- 28% di decessi) e il colera (-36%), seppure abbiano fatto registrare performance inferiori a quelle di febbre gialla ed Ebola per via della minore disponibilità di vaccinazione di routine e dell’impatto delle condizioni igienico-sanitarie sulle ondate epidemiche.

L’immunizzazione d’emergenza è sicurezza sanitaria
“Ogni epidemia contenuta equivale a vite salvate, costi evitati, sistemi sanitari rafforzati”, si legge nel rapporto. A garantire questa capacità di risposta sono stati strumenti come le scorte globali gestite dall’International Coordinating Group for Vaccine Provision (OMS, FICR, UNICEF, MSF) e meccanismi finanziari rapidi, come il Day Zero Financing Facility – che mette a disposizione fino a 500 milioni di dollari “pronti all’uso” – attivato anche nell’attuale risposta globale al Mpox.

Lo studio Burnet – Gavi sottolinea inoltre che la tempestività della risposta è un fattore decisivo: campagne vaccinali attivate entro pochi giorni dalla segnalazione dell’epidemia si sono rivelate molto più efficaci rispetto a quelle avviate in ritardo.

Gavi 6.0: il piano per il 2026–2030
Con l’aumento globale dei focolai epidemici post-Covid, Gavi si prepara al suo prossimo piano strategico (2026–2030). L’obiettivo è potenziare l’intervento preventivo e mantenere le scorte globali, includendo nuovi vaccini (Mpox, epatite E) e sostenendo la copertura vaccinale nei Paesi a basso reddito, dove vivono milioni di bambini che non hanno ricevuto ancora alcuna dose (i cosiddetti “bambini zero-dose”).

Il Niger sarà il primo Stato a condurre una campagna nazionale con il nuovo vaccino coniugato contro i cinque ceppi principali della meningite; un’iniziativa che potrebbe avvicinarsi all’obiettivo dell’eliminazione delle epidemie di meningite nel continente africano.

L’appello: investire oggi per proteggere domani
In un contesto segnato da crisi sanitarie sempre più frequenti e interconnesse, lo studio rilancia un messaggio forte ai donatori internazionali: senza finanziamenti stabili e tempestivi la capacità del mondo di reagire alle epidemie sarà compromessa.

“Vaccinare in emergenza non è solo un atto clinico, è una misura di sicurezza pubblica globale”, concludono i ricercatori. “Ed è uno degli investimenti più intelligenti che la comunità internazionale possa fare”.

 

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