Pharma sotto pressione: effetto Trump sui titoli in Borsa. La Cina è pronta

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L’industria farmaceutica europea apre la settimana con il segno “meno” in Borsa. Dopo il duro ultimatum del presidente Trump del 31 luglio, le principali aziende del settore – da Sanofi ad AstraZeneca, passando per GSK e Novo Nordisk – hanno registrato una flessione dei titoli compresa tra l’1% e il 4% all’apertura delle contrattazioni sui mercati europei e statunitensi nella mattinata di lunedì 4 agosto. La flessione ha interessato in particolare gli indici che includono le big pharma europee quotate anche a Wall Street e al Nasdaq.

La richiesta della Casa Bianca prevede l’obbligo per 17 big pharma di adeguare i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti a quelli più bassi vigenti nei paesi OCSE. Il limite temporale per l’adeguamento è fissato a 60 giorni (a partire dal 31 luglio). Decorso questo termine, se la richiesta cadrà nel vuoto, l’amministrazione americana ha minacciato di procedere con “azioni normative senza precedenti”.

Il dicktat, sebbene rivolto all’intero comparto, colpisce in modo particolare i gruppi europei, tradizionalmente più esposti alle dinamiche dei prezzi internazionali e meno protetti da barriere commerciali.

Gli analisti ritengono che l’impatto sull’EBIT a medio termine possa essere particolarmente rilevante per aziende con pipeline mature e forte presenza sul mercato statunitense, come AstraZeneca e Novo Nordisk.

Secondo quanto riporta Reuters, “il rischio principale è che la presa di posizione trumpiana sui prezzi possa riflettersi anche nei futuri negoziati commerciali transatlantici, inasprendo le trattative sui dazi e sui temi di proprietà intellettuale e reciprocità nell’accesso al mercato”.

Da concorrenza a conflitto?
L’ipotesi di un irrigidimento commerciale tra Stati Uniti ed Europa, sebbene ancora prematura, preoccupa le aziende farmaceutiche, che si trovano a operare in un delicato equilibrio tra investimenti in ricerca, sostenibilità del pricing e pressione politica.

Le prossime settimane saranno quindi cruciali, non solo per l’andamento dei titoli in Borsa, ma anche per capire se le pharma sceglieranno di rivedere i propri modelli di pricing globale o se, invece, preferiranno attendere l’effettivo avvio di azioni sanzionatorie da parte di Washington.

“Serve equilibrio tra sostenibilità e innovazione”
“Il principio di equità nei prezzi è legittimo, ma deve essere applicato con strumenti che non penalizzino lo sviluppo scientifico”, sottolinea un portavoce di PhRMA, l’associazione statunitense delle aziende farmaceutiche, “Il rischio è che il modello MFN si trasformi in una corsa al ribasso, che costringerà le imprese a ridurre gli investimenti in ricerca, trasferire i centri di sviluppo e comprimere l’accesso a terapie complesse.”

Una linea condivisa anche a livello europeo. EFPIA ha sottolineato che il tentativo di armonizzare i prezzi su scala globale, se non accompagnato da una revisione delle regole sugli incentivi alla ricerca e sui tempi regolatori, “potrebbe innescare una nuova fase di delocalizzazione industriale e di riduzione selettiva delle pipeline”.

Cina osservatrice interessata
Il rischio è quello di un potenziale effetto domino, a tutto vantaggio di un terzo player geopolitico. Secondo quanto riferisce il Times of India, i principali gruppi cinesi stanno monitorando da vicino l’evoluzione normativa statunitense, con l’obiettivo di rafforzare il proprio posizionamento globale.

Le aziende pharma di Pechino e Shanghai, sostenute da programmi pubblici e forti incentivi alla localizzazione della produzione, potrebbero cogliere l’occasione per attrarre capitali, ricercatori e contratti globali, oggi concentrati negli Stati Uniti o in Europa.

“L’innovazione non è solo una questione di laboratori, ma di contesto industriale e normativo”, osserva un analista di PharmAsia News. “Se le big pharma occidentali rallentano, la Cina è pronta a occupare lo spazio lasciato libero”.

 

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