L’AIFA ha approvato la rimborsabilità di burosumab per il trattamento dell’ipofosfatemia correlata al fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23) nell’osteomalacia indotta da tumore (TIO) associata a tumori mesenchimali fosfaturici, nei casi in cui questi non siano resecabili o localizzabili in modo curativo.
L’approvazione riguarda pazienti adulti e pediatrici (1–17 anni) e rappresenta un passo decisivo nell’offrire un’opzione terapeutica mirata a una malattia ultra-rara, debilitante e spesso sotto-diagnosticata.
Burosumab è un anticorpo monoclonale diretto contro il fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23), proteina responsabile della disregolazione del metabolismo del fosfato nei pazienti affetti da osteomalacia indotta da tumore,
I risultati degli studi pubblicati da de Beur J et al. (Journal of Bone and Mineral Research, 2021) e da Imanishi Y et al. (Journal of Bone and Mineral Research, 2021) hanno evidenziato miglioramenti clinicamente significativi nei parametri biochimici e nei sintomi correlati alla malattia, quali osteomalacia, fratture e funzionalità fisica.
Burosumab è indicato anche per il trattamento dell’ipofosfatemia legata all’X (XLH) nei bambini e adolescenti con evidenza radiografica di malattia ossea, oltre che negli adulti.
“L’osteomalacia indotta da tumore – spiega Sandro Giannini, Dirigente Medico presso l’Azienda Ospedaliera Università di Padova – è una malattia ultra-rara, che colpisce solitamente adulti intorno a 40-45 anni. È causata dalla secrezione eccessiva dell’ormone FGF23 da parte di piccoli tumori mesenchimali benigni, che determinano una severa perdita di fosfato con le urine, impedendo la corretta mineralizzazione ossea. Il risultato è una fragilità scheletrica estrema, che può manifestarsi con fratture multiple, dolori intensi e una progressiva perdita della mobilità, spesso fino alla necessità di utilizzo della sedia a rotelle”.
Il percorso diagnostico dell’osteomalacia indotta da tumore è spesso lungo e complesso: i sintomi sono aspecifici e vengono frequentemente confusi con quelli di patologie più comuni come l’osteoporosi.
La rarità della malattia (l’incidenza è pari a 0,325 per 100.000 abitanti) e la scarsità di centri specializzati rallentano la diagnosi, che richiede esami di laboratorio specifici (come il dosaggio del FGF23) e di imaging avanzati (come la PET con 68Ga-DOTATOC), non sempre disponibili sul territorio nazionale.
“L’introduzione di burosumab in Italia– riprende e sottolinea Sandro Giannini – rappresenta una vera rivoluzione. Nei casi in cui il tumore non è localizzabile o resecabile, la terapia convenzionale con fosfato e vitamina D risulta spesso inefficace e poco tollerata dai pazienti. Burosumab, un anticorpo monoclonale che blocca l’azione del FGF23, consente invece un controllo adeguato della malattia, con un miglioramento significativo della qualità della vita e delle condizioni cliniche dei pazienti”.
“Siamo orgogliosi di poter offrire un’opportunità terapeutica concreta a persone che convivono con una malattia rara e fortemente invalidante come la TIO – conclude Claudia Coscia, Southern Cluster General Manager di Kyowa Kirin – Questa approvazione rafforza il nostro impegno a fianco della comunità di persone con malattie rare e conferma il nostro obiettivo di rispondere ai bisogni insoddisfatti dei pazienti, mettendoli sempre al centro della nostra missione”.