di Sandro Siclari e Angelo Salvatori
Come molti manager o professionisti, prima di applicarlo nella pratica — inizialmente come product manager e poi, nel corso della nostra lunga carriera, come direttori marketing ma anche come amministratori delegati — abbiamo studiato il marketing su uno dei testi più autorevoli e diffusi: il celebre manuale di Philip Kotler, Marketing Management. Pubblicato per la prima volta nel 1967, questo fondamentale riferimento ha conosciuto ben 16 edizioni in lingua inglese, tradotte anche in italiano, ed ulteriori sviluppi in volumi correlati.
Da quel testo riprendiamo la definizione di marketing forse più sintetica, ma di straordinaria efficacia: soddisfare bisogni con profitto.
Soddisfare bisogni già chiarisce un aspetto fondamentale, spesso incompreso, dato che il marketing non ci insegna la tecnica con cui vendere a qualcuno cose di cui non ha bisogno, semplicemente perché ci fa comodo o è utile; in realtà il nostro vero interesse di produttori o venditori risiede nella vera e completa soddisfazione del cliente, perché a prescindere dalle implicazioni morali e legali, la vendita di qualcosa di cui il cliente o il paziente non abbia veramente bisogno è sempre una vendita effimera, destinata prima o poi a ritorcersi contro chi ha approfittato del cliente. Chi sta nel mercato con serietà e non con l’intenzione di scappare con la cassa, impara a vendere al cliente ciò di cui ha veramente bisogno, e lo fa con una ottica di lungo termine, non per bontà d’animo, ma più semplicemente perché acquisire un cliente è molto costoso, e rimpiazzarlo continuamente con nuovi clienti ha forti costi, non sempre subito evidenti in un conto economico. Tornando al bisogno, ci è evidente che il cliente non sempre è conscio del proprio bisogno, che può essere latente semplicemente perché ignora che quel determinato risultato terapeutico o diagnostico possa essere raggiunto in altra maniera rispetto a quelle che conosce, ma per essere etici deve essere un bisogno autentico.
L’altra parte dell’equazione che abbiamo sottolineato è con profitto. Escludendo una ONLUS o un ente pubblico, qualunque organizzazione che voglia sopravvivere e prosperare ha bisogno di fare utili, per continuare a migliorare la sua offerta alla clientela. Questo è ancora più vero, come vedremo meglio in seguito, in campo farmaceutico e medicale, dove i costi di ricerca e sviluppo associati ad un prodotto possono essere altissimi, e tali da mettere in serio pericolo quella azienda che non sia in grado di recuperare, nella fase di commercializzazione, gli ingenti costi che deve sostenere per portare all’approvazione un prodotto. Ma pur affermando che il profitto è indispensabile in un’azienda sana, poi abbiamo due considerazioni.
La prima è che non è necessario né indispensabile fare profitto in ogni singola azione, l’importante è che complessivamente esista un ritorno adeguato, indispensabile per finanziare la costosissima Ricerca e Sviluppo, primo motore dell’innovazione.
La seconda considerazione è che il profitto non dovrebbe essere visto come un obiettivo ma semplicemente come un mezzo, ed in questo ci rifacciamo ad Adriano Olivetti con la sua visione sociale dell’impresa, lontana ormai nel tempo ma ugualmente valida al giorno d’oggi.
Inoltre, il marketing nel nostro mercato deve tenere conto di una forte regolamentazione, per ottime ragioni beninteso, che tempera fortemente le leggi di mercato e dell’economia; regole, a volte nazionali, a volte dell’Unione Europea, a volte di paesi esteri come gli Stati Uniti (se vogliamo esportare lì i nostri prodotti o servizi), regole il più spesso cogenti, ma qualche volta adottate su base volontaria. Regole che hanno iniziato ad affermarsi sempre di più nel tempo, visto che trattiamo della salute, un bene prezioso, se non il più prezioso, come testimoniato dalla valanga di norme che disciplinano tutto ciò che riguarda farmaci, dispositivi medici e diagnostici, dalla ricerca, alla sperimentazione, alla produzione, alla distribuzione, alla commercializzazione.