La pubblicità farmaceutica entra in una nuova fase di trasformazione. Complici il cambiamento delle abitudini di consumo dei media e la crescente pressione regolatoria negli Stati Uniti sulla pubblicità diretta al consumatore (DTC), le aziende pharma si allontanano sempre di più dalla TV lineare. Una tendenza partita dagli USA, destinata però ad avere un’onda lunga anche in Europa e negli altri mercati internazionali.
TV lineare in flessione, ma non sparita
Nonostante il trend, è troppo presto per decretare la fine della TV come medium pubblicitario principale. L’uscita dai portafogli advertising non sarà immediata: il 2025 ha visto le pharma investire ancora oltre 7 miliardi di dollari in spot sulla TV lineare, con una crescita annua di circa il 16%, secondo i dati iSpot.TV aggiornati a inizio dicembre.
Il ritorno in termini di audience è stato però limitato: le esposizioni televisive complessive per nucleo familiare sono aumentate solo del 7%. In pratica, il pubblico raggiunto non cresce in proporzione agli investimenti, segnalando come la TV lineare stia perdendo terreno rispetto ai canali digitali.
Il trionfo del digitale
A guidare la crescita è proprio il digitale. Social media, search, display, video e connected TV (CTV) stanno surclassando i canali tradizionali. Entro fine 2025, le aziende pharma avranno investito circa 24,8 miliardi di dollari nel digitale, contro i circa 7,9 miliardi destinati a TV lineare, stampa, radio e affissioni.
Il divario è destinato ad ampliarsi ulteriormente nel 2026: 26,2 miliardi per il digitale e 6,9 miliardi per i canali tradizionali.
Consumatori stanchi degli spot
Non si tratta solo di una mutata fruizione dei media, guidata dalla tecnologia: cresce anche la “drug AD fatigue”. Secondo Sirius XM Media, quasi l’80% degli utenti ritiene che ci siano troppi spot farmaceutici in TV e streaming. Molti percepiscono le immagini rassicuranti degli spot come fuorvianti o scollegate dagli effetti collaterali dei farmaci.
Un sondaggio di iSpot e MX8 Labs conferma: il 57% degli adulti dichiara saturazione da pubblicità farmaceutica. Eppure, il 60% continua a considerare gli spot “abbastanza affidabili”, creando un paradosso tra fiducia residua e sovraesposizione.
Stretta regolatoria USA
La pressione normativa non accenna a diminuire. L’amministrazione Trump ha incaricato la FDA di rafforzare i controlli sulla pubblicità DTC, con particolare attenzione agli spot TV. Tra le ipotesi in discussione c’è la revisione della politica dell’“adequate provision” del 1997, che oggi consente di citare solo i principali rischi nei messaggi televisivi.
Un’inversione di rotta renderebbe praticamente impossibile trasmettere spot da 30 o 60 secondi. La FDA ha già inviato decine di lettere di richiamo per spot considerati “falsi o fuorvianti”, e la stretta è destinata a proseguire nel 2026, estendendosi anche ai social e agli influencer.
Più canali, meno rischi
Di fronte a questo scenario, i responsabili marketing stanno accelerando sulla diversificazione dei canali. Tra questi spicca l’out-of-home (OOH), considerato più stabile, brand-safe e meno esposto al rischio regolatorio. Per OOH si intendono tutte le forme di pubblicità che raggiungono il pubblico fuori dall’ambiente domestico, come affissioni, cartellonistica, pubblicità nei mezzi di trasporto, nelle stazioni e negli aeroporti.
Secondo la Out of Home Advertising Association of America, gli investimenti pharma in OOH sono aumentati di oltre sei volte tra il 2016 e il 2024 e resteranno elevati anche nel 2026, con Eli Lilly tra i principali investitori.
Il messaggio per il settore è chiaro: non basta spostare i budget, occorre ripensare le strategie di comunicazione in chiave più mirata, data-driven e conforme alle regole in evoluzione.