A Casa Novartis, il secondo appuntamento annuale di Pazienti in Agorà riporta al centro un tema già emerso nel primo incontro: l’innovazione è un valore solo quando riesce a trasformarsi in cura reale. Il programma della giornata del 17 novembre — dal confronto sui PDTA alla riflessione sulle tecnologie digitali — ha aperto un dialogo su ciò che ancora oggi impedisce a molti pazienti di beneficiare in modo equo, tempestivo e appropriato dei progressi scientifici.
“Nel precedente incontro abbiamo parlato di innovazione e vi abbiamo chiesto in che modo questa debba tener conto dei reali bisogni dei pazienti. Ci siamo interrogati anche su come far riconoscere alle agenzie regolatorie il valore dell’innovazione dal punto di vista del paziente. Oggi affrontiamo un aspetto ancora più importante, perché se l’innovazione esiste ma non arriva al paziente, rimane vana”, commenta Chiara Gnocchi, Country Communication & Advocacy Head di Novartis Italia.
Quattro nodi da sciogliere per un accesso equo e tempestivo
Dal confronto sono emersi quattro nodi chiave da sciogliere:
● ridurre i tempi di accesso alle cure;
● superare le disomogeneità territoriali;
● sostenere ricerca e innovazione in Italia;
● promuovere una nuova cultura del dato lungo l’intero percorso di cura.
“In Europa, l’Italia è seconda solo alla Germania per numero di molecole innovative disponibili: l’85% dei farmaci approvati è presente nel nostro Paese”, sottolinea Valentino Confalone, Country President di Novartis Italia, “Dobbiamo lavorare sui tempi di accesso: 14 mesi di attesa a livello nazionale, ai quali — in alcune regioni — si possono aggiungere fino a ulteriori 12 mesi”.
Confalone aggiunge che Novartis, come azienda, cerca di ridurre tali tempi attraverso programmi di uso compassionevole o di early access. “Sono però risposte emergenziali a una falla del sistema, quando invece servirebbe una soluzione strutturale. Un fast track con accesso immediato nella fase di negoziazione della rimborsabilità potrebbe rappresentare, per alcune patologie ad alto bisogno, una risposta adeguata”.
Disuguaglianze territoriali
Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna ODV e Coordinatrice del gruppo interassociativo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, ribadisce che l’accesso all’innovazione dipende ancora dalla regione di residenza: “Per ridurre questa disparità, anni fa — come Salute Donna ONLUS — abbiamo promosso la creazione di un fondo dedicato ai farmaci oncologici innovativi, a disposizione delle Regioni. Eppure non tutte le Regioni lo utilizzano, e le differenze persistono”. Per i pazienti, il tempo è cura, e l’attesa può compromettere le possibilità terapeutiche.
Antonella Celano, Presidente di APMARR – Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, sottolinea il permanere di difficoltà nell’accesso alla diagnosi precoce e ai livelli essenziali di assistenza. “Sappiamo quanto sia importante la tempestività della diagnosi per arrivare a una cura precoce. Tuttavia, il nostro sistema sanitario presenta un problema di base: un’inappropriatezza organizzativa che non permette alle persone di ottenere risposte rapide”, afferma Antonella Celano, “Se si superasse questo ostacolo, perfino il problema delle liste d’attesa potrebbe essere ridimensionato”. Porta poi un esempio: “In una regione è stato richiesto ai reumatologi di anticipare le visite. Nonostante questo, non si è riusciti a velocizzare la diagnosi perché mancava l’organizzazione nei passaggi successivi, che coinvolgevano i laboratori analisi. Questa inappropriatezza si ripercuote direttamente sulla vita delle persone”.
Tre leve per accelerare l’accesso all’innovazione
Per ridurre i tempi di accesso all’innovazione, secondo Roberta Rondena, Country Value & Access Head di Novartis Italia, esistono tre leve principali. La prima riguarda l’accorciamento dell’iter AIFA: i recenti miglioramenti sono incoraggianti, ma il margine di ottimizzazione resta ampio, anche alla luce delle opportunità offerte dai nuovi regolamenti — come quello sull’HTA — che anticipano alcune valutazioni in parallelo con la procedura EMA.
La seconda leva è la revisione dei meccanismi di accesso precoce, fondamentali soprattutto per i farmaci che rispondono a bisogni terapeutici rilevanti: l’attuale sistema funziona, ma non intercetta più in modo sufficientemente tempestivo l’innovazione.
Il terzo punto riguarda il ruolo delle Regioni: anticipare il dialogo tra AIFA e sistemi sanitari regionali consentirebbe a questi ultimi di prepararsi per tempo all’arrivo dei nuovi trattamenti, adattando modelli di governance clinica e del farmaco.
PDTA: percorsi di cura che devono diventare concreti
In questo contesto, i PDTA — percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali — diventano strumenti essenziali per garantire organizzazione, continuità e sostenibilità dei “percorsi di vita” dei pazienti, dalla prevenzione alla diagnosi, dalla cura al follow-up.
Anche nella loro applicazione emergono luci e ombre: i PDTA sono aumentati e si stanno diffondendo, ma rimangono disomogenei tra territori, poco integrati tra ospedale e territorio e ancora insufficientemente supportati da strumenti digitali per monitorare gli esiti.
Sonia Amore, Regional Relations Lead di Novartis Italia, spiega che l’azienda lavora con le Regioni proprio per superare queste criticità, promuovendo la co-creazione di protocolli che rispondano ai bisogni specifici di ciascun territorio e permettano all’innovazione di raggiungere tutti i pazienti.
“Nel cardiovascolare, in Veneto e Sicilia, i progetti Certilip e Sicura hanno costruito modelli integrati tra specialisti, medici di famiglia e territorio per identificare precocemente i pazienti ad alto rischio e definire percorsi personalizzati: il risultato è stato una riduzione del 67% dei ricoveri per eventi cardiovascolari”, sottolinea Sonia Amore, “In oncologia si sta lavorando a un modello per il carcinoma mammario che introduce indicatori di esito, migliora la tempestività della presa in carico, rafforza la continuità assistenziale e aumenta la soddisfazione delle pazienti”.
Il valore del dato: una leva culturale oltre che tecnologica
Secondo Mario Alberto Battaglia, Presidente della Federazione Internazionale Sclerosi Multipla (MSIF), i PDTA devono avere riferimenti nazionali chiari, ma devono poi essere adattati e sviluppati in chiave territoriale e aziendale, mantenendo coerenza e uniformità dei percorsi. Il suo intervento ha riportato al centro il valore del dato, non solo come strumento tecnico, ma come leva culturale e organizzativa capace di trasformare l’esperienza delle persone e la qualità delle decisioni cliniche.
In questa prospettiva, il PDTA non può limitarsi a definire che cosa fare: deve indicare con precisione come farlo, poggiando su infrastrutture digitali realmente funzionanti. La telemedicina, richiamata più volte durante l’incontro, deve diventare qualcosa di effettivamente applicabile.
PRO e PREM: la voce dei pazienti nella cura
Tra le informazioni più preziose ci sono quelle riportate direttamente dai pazienti. “I PRO (Patient-Reported Outcomes, esiti riportati dai pazienti) e i PREM (Patient-Reported Experience Measures, misure dell’esperienza riportate dai pazienti), quando supportati da strumenti digitali adeguati, possono essere raccolti 365 giorni l’anno, anche 24 ore su 24, offrendo una fotografia molto più completa del vissuto dei pazienti”, sottolinea Battaglia, “Ma questa ricchezza di dati richiede un sistema pubblico capace di gestirla. L’intelligenza artificiale potrebbe fare molto, ma solo se inserita in un contesto che sappia davvero sfruttarne il potenziale”.
Dove il sistema pubblico non arriva, intervengono spesso le associazioni. È il caso del Registro della Sclerosi Multipla, creato dalla Federazione Internazionale Sclerosi Multipla insieme ai neurologi per colmare un vuoto evidente.
La sfida finale è mettere tutto a sistema. “Dobbiamo far dialogare tutti i dati, compresi quelli amministrativi – conclude Battaglia – perché solo integrando informazioni cliniche, digitali, radiologiche, genetiche e amministrative si può costruire un modello di presa in carico davvero capace di cambiare la vita delle persone, soprattutto di chi convive con malattie croniche che accompagnano l’intera esistenza”.
Di Camilla De Fazio