L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha raccomandato il rimborso di tafasitamab, un anticorpo monoclonale anti-CD19, in associazione con lenalidomide. Questo approccio è approvato in Italia per il trattamento dei pazienti affetti da linfoma a grandi cellule B (DLBCL) recidivante o refrattario e non idonei a trapianto autologo di cellule staminali.
“L’approvazione di tafasitamab rappresenta un nuovo importante traguardo raggiunto da Incyte, che vede crescere la sua pipeline in ambito onco-ematologico con soluzioni di grande valore terapeutico per patologie con alto bisogno clinico insoddisfatto”, afferma Onofrio Mastandrea, Associate Vice President, General Manager Incyte Italia.
La decisione di Aifa si basa sui risultati dello studio L-MIND che ha valutato la sicurezza e l’efficacia di tafasitamab in associazione con lenalidomide (un farmaco già usato nei tumori del sangue, che inibisce l’angiogenesi e stimola le cellule del sistema immunitario ad attivarsi contro il tumore) seguito da tafasitamab in monoterapia nei pazienti affetti da DLBCL recidivante/refrattario. I risultati a tre anni hanno mostrato un tasso di risposta obiettiva del 57,5%, incluso un tasso i risposta completa del 40% e un tasso di risposta parziale del 17,5%. La durata mediana della risposta è stata di 43,9 mesi dopo un follow-up minimo di 35 mesi. Dopo un tempo mediano di follow-up di 42,7 mesi, la sopravvivenza globale mediana è stata di 33,5 mesi.
“I pazienti che ottengono una risposta completa, hanno una durata della risposta che è superiore ai 40 mesi, questo è un dato fondamentale in una popolazione di pazienti che ha manifestato una ricaduta”, osserva Pier Luigi Zinzani, Ordinario di Ematologia, Istituto di Ematologia “L. E A. Seràgnoli”, Università di Bologna. “Il farmaco è stato approvato in seconda linea e in quest’ambito si troverà a competere con le terapie Car-T, ad oggi in terza linea. Il trattamento Car-T, però, è un processo molto complesso e i criteri di ammissibilità per accedere alla terapia sono molto restrittivi. Di fatto solo il 35-40% dei pazienti può usufruire di quest’arma terapeutica, quindi resta un 60-65% che potrà beneficiare di tafasitamab più lenalidomide”.
La somministrazione di questo nuovo farmaco prevede una fase di induzione che dura circa 12 mesi in cui tafasitamab viene somministrato per via endovenosa e lenalidomide viene somministrato per via orale. I pazienti che rispondono alla terapia passano al trattamento di mantenimento che consiste nella somministrazione di tafasitamab in monoterapia una volta ogni 15 giorni fino a eventuale progressione della malattia o al manifestarsi di tossicità importante. Il farmaco è in generale molto ben tollerato.
“I linfomi rappresentano il quinto tipo di tumore per frequenza nel mondo occidentale”, spiega Andrés José Maria Ferreri, Direttore dell’Unità Linfomi, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Presidente dell’Associazione Italiana Linfomi (FIL). “Il linfoma a grandi cellule B è il più comune e aggressivo dei linfomi non-Hodgkin e ha un tasso di prevalenza stimato in Italia di 4,83:10.000: si stima ci siano circa 28.800 pazienti affetti da questa patologia nel Paese, e ogni anno si fanno circa 4.400 nuove diagnosi”.
Tafasitamab potrebbe diventare anche un’arma contro i linfomi indolenti, in particolare il linfoma follicolare (che rappresenta il 30% dei linfomi non-Hodgkin) e il linfoma della zona marginale. “Lo studio di fase III inMIND sta valutando l’efficacia di tafasitamab contro questi linfomi”, dice Zinzani. “I primi risultati sono promettenti, negli studi di fase I e di fase II le risposte dei pazienti sono state simili a quelle dei soggetti con DLBCL”.
Rosalba Barbieri, Vicepresidente dell’Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma (Ail), conclude: “Ogni nuovo farmaco dà una speranza in più ai pazienti. La ricerca è essenziale per i pazienti e dietro ogni opzione terapeutica ci sono anni e anni di sperimentazione e investimenti di cui siamo molto grati”.