La Cina approva per la prima volta quattro molecole first-in-class

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Una settimana fa quattro farmaci sviluppati da aziende cinesi hanno ottenuto l’approvazione nazionale come first-in-class nella loro categoria terapeutica. Si tratta di molecole innovative mirate a patologie ad alto bisogno clinico come il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL), il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) con mutazione HER2 e l’influenza A, ma anche a condizioni reumatologiche e oncologiche difficili da trattare.

Nel dettaglio, la National Medical Products Administration (NMPA) ha dato il via libera a:
Ifupinostat (BeBetter Med), primo inibitore duale HDAC/PI3K al mondo, indicato per pazienti con linfoma DLBCL recidivante o refrattario;
Tibremciclib (Betta Pharma), inibitore CDK4/6 per il carcinoma mammario HR-positivo/HER2-negativo, autorizzato in combinazione con fulvestrant;
Suvemcitug (Simcere), anticorpo anti-VEGF approvato per il trattamento del carcinoma ovarico resistente al platino;
Firsekibart (noto in precedenza come genakumab, di Changchun GeneScience Pharmaceutical), destinato alle crisi acute di gotta nei pazienti non responsivi o intolleranti a FANS e colchicina.

A differenza del passato, in cui la Cina si limitava a seguire le innovazioni sviluppate all’estero, oggi l’autorità regolatoria nazionale approva farmaci inediti su scala globale, ponendosi come potenziale benchmark nella pipeline dell’innovazione farmaceutica mondiale.

Questo evento segna anche un cambio di paradigma per l’industria cinese del farmaco: se fino a oggi molte aziende nazionali si erano concentrate su versioni “me-too” o biosimilari, le recenti approvazioni della NMPA forniscono la prova concreta della maturazione dell’ecosistema R&D domestico, sostenuto da massicci investimenti pubblici e privati.

Dal punto di vista europeo, l’approvazione di farmaci first-in-class in Cina apre a due scenari interessanti. Da un lato, la possibilità che l’EMA e altre agenzie occidentali prendano in considerazione in futuro dossier regolatori basati su dati clinici generati in Cina. Dall’altr, l’ingresso di nuovi player in mercati ad alta barriera, ossia quei contesti regolatori – come Unione Europea, Stati Uniti e Giappone – in cui ottenere un’autorizzazione all’immissione in commercio richiede una solida evidenza scientifica, standard elevati di qualità e spesso lunghi iter autorizzativi.

In particolare i programmi clinici condotti in Cina potrebbero entrare in dialogo con le autorità regolatorie occidentali attraverso i cosiddetti “bridging studies”, ovvero studi clinici integrativi che servono a dimostrare come i risultati ottenuti in una popolazione (ad esempio quella cinese) siano applicabili anche a popolazioni diverse (ad esempio quelle europee), colmando così eventuali differenze etniche, farmacogenomiche o metodologiche.

L’espansione della Cina nel pharma innovativo impone quindi una riflessione alle aziende europee, sia in termini di concorrenza, sia in chiave di nuove opportunità di partnership transnazionali.

 

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