Janssen, le ultime novità dall’EHA

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Janssen ha presentato all’European Hematology Association (EHA) 2021 i primi risultati dello studio GLOW di fase 3. Lo studio ha valutato la terapia a durata fissa di ibrutinib più venetoclax (I+V) rispetto alla terapia clorambucile più obinutuzumab (Clb+O) per il trattamento in prima linea di pazienti anziani o unfit con leucemia linfatica cronica (LLC). La terapia I+V per via orale, una volta al giorno, si è rivelata superiore in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla Clb+O; inoltre, I+V ha migliorato significativamente la profondità e la durata della remissione. Con I+V, l’85% dei pazienti ha mantenuto la malattia minima residua non rilevabile (uMRD) nel sangue periferico (PB) per un anno dopo la fine del trattamento. Il profilo di sicurezza e tollerabilità di I+V è stato in linea con i profili di sicurezza conosciuti di ibrutinib e venetoclax e per il trattamento della LLC nella popolazione anziana con comorbidità.

Lo studio GLOW ha valutato l’efficacia e la sicurezza di I+V, in prima linea a durata fissa, rispetto a Clb+O in pazienti anziani con LLC o in pazienti di età compresa tra i 18 e i 64 anni, classificati unfit per via di un indice di comorbidità CIRS (cumulative illness rating scale) superiore a sei o clearance della creatinina inferiore a 70 mL/min. L’indice di comorbidità CIRS indica, tramite un punteggio, lo stato di salute del paziente valutando la presenza di comorbidità, correlate o meno alla LLC, indicando lo stato di salute del paziente.

Dallo studio sono stati esclusi i pazienti con delezione p17 o mutazioni TP53. I pazienti sono stati randomizzati a uno dei due diversi trattamenti in esame in base allo stato mutazionale del gene della regione variabile della catena pesante dell’immunoglobulina (IgHV) e allo stato della delezione 11q. I pazienti nel braccio I+V hanno ricevuto tre cicli di terapia lead-in di ibrutinib seguiti da 12 cicli di terapia combinata, tutti i pazienti hanno interrotto il trattamento indipendentemente dallo stato della malattia minima residua (MRD). Nello studio, 106 pazienti hanno ricevuto I+V e 105 hanno ricevuto Clb+O (N=211; età mediana 71 anni).

I risultati
A un follow-up mediano di 27,7 mesi, la sopravvivenza libera da progressione (PFS), valutata da un comitato di revisione indipendente (IRC), era superiore con la terapia I+V a durata fissa rispetto a Clb+O (Hazard Ratio [HR] 0,216, intervallo di confidenza [IC] al 95 per cento, 0,131-0,357; p<0,0001); il miglioramento della PFS in relazione al trattamento con I+V è stato osservato nei sottogruppi predefiniti, che includevano i pazienti più anziani e quelli unfit. Per il gruppo I+V la PFS mediana non è stata raggiunta e per Clb+O è stata di 21 mesi (IC 95 per cento, 16,6-24,7). A tre mesi dalla fine del trattamento (EOT+3), il tasso di uMRD era significativamente più alto per I+V rispetto a Clb+O nel midollo osseo (51,9 per cento vs 17,1 per cento; p<0,0001) e nel sangue periferico (54,7 per cento vs 39,0 per cento; p=0,0001). Secondo la valutazione IRC, i tassi di risposta completa (CR) (compresa la risposta completa con recupero ematologico incompleto) erano significativamente più alti per I+V a durata fissa rispetto a Clb+O (38,7 per cento vs 11,4 per cento; p<0,0001).
Le risposte con I+V a durata fissa sono state persistenti dopo la fine del trattamento (EOT); l’84,5% (49/58) dei pazienti ha mantenuto la uMRD del sangue periferico da EOT+3 a EOT+12 mesi. Per questo motivo, con un follow-up mediano di 27,7 mesi, il periodo di tempo alla successiva terapia antitumorale è risultato più esteso con I+V rispetto a Clb+O (HR 0,143 [IC 95 per cento, 0,05-0,41]

Gli eventi avversi di grado 3 o superiore più comuni per il trattamento con I+V a durata fissa sono stati neutropenia/riduzione della conta dei neutrofili (34,9 per cento), infezioni (17 per cento), diarrea (10,4 per cento); per il trattamento con Clb+O sono stati neutropenia/riduzione della conta dei neutrofili (49,5 per cento), trombocitopenia (20 per cento) e infezioni (11,4 per cento). I decessi durante il trattamento si sono verificati in sette pazienti con I+V a durata fissa e in due pazienti con Clb+O. Al momento dell’analisi, i dati di sopravvivenza globale erano non valutabili; si contavano undici morti nel braccio I+V a durata fissa e dodici nel braccio Clb+O.

Lo studio GLOW è parte di un programma di sviluppo globale per valutare il potenziale della terapia con ibrutinib a durata fissa in pazienti con LLC precedentemente non trattati, che comprende anche la coorte a durata fissa dallo studio di fase 2 CAPTIVATE presentato all’American Society of Clinical Oncology 2021.

“Ibrutinib e venetoclax hanno meccanismi d’azione complementari e, sulla base dei promettenti risultati degli studi CAPTIVATE e GLOW, dimostrano che questo regime può fornire un trattamento efficace e flessibile per i pazienti con LLC che cercano un’opzione terapeutica a durata fissa”, afferma Craig Tendler, Vice President, Late Development and Global Medical Affairs, Oncology, Janssen Research & Development,. “Considerando entrambi gli studi, più di 400 pazienti, appartenenti a diverse classi di età e di stato fisico dei pazienti con LLC che necessitano una terapia in prima linea, sono stati trattati con ibrutinib in combinazione con venetoclax per una durata limitata nel tempo, dimostrando l’efficacia di ibrutinib in questo regime”.

“Ibrutinib è stato somministrato a più di 230.000 pazienti in tutto il mondo e continua ad essere un pilastro nel trattamento della LLC”, conclude Edmond Chan, EMEA Therapeutic Area Lead Haematology, Janssen-Cilag. “Il nostro obiettivo è sempre stato quello di affrontare i bisogni insoddisfatti dei pazienti e migliorarne la qualità di vita. Questi ultimi dati sono un incoraggiante passo avanti, poiché ci dicono che ibrutinib potrebbe essere un’opzione sia per i pazienti che richiedono un trattamento continuo sia per coloro che necessitano di un trattamento a durata fissa “.

Mieloma multiplo. I dati dello studio di fase 3 MAIA
Sempre in occasione del congresso dell’European Hematology Association Janssen ha presentato i dati dello studio MAIA di fase 3 sul mieloma multiplo. Lo studio ha dimostrato che l’aggiunta di daratumumab a lenalidomide e desametasone (D-Rd) ha portato benefici maggiori, e statisticamente significativi, in termini di sopravvivenza globale (OS) rispetto alla sola terapia con lenalidomide e desametasone (Rd) in pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi (NDMM) non candidabili a trapianto autologo di cellule staminali (ASCT) e trattati fino alla progressione della malattia.

L’analisi ad interim pre-specificata per la OS ha mostrato, dopo un follow-up mediano di quasi cinque anni (56,2 mesi), una riduzione del 32 per cento del rischio di morte nel braccio D-Rd rispetto al braccio Rd.

La OS mediana non è stata raggiunta in nessuno dei due bracci [hazard ratio (HR): 0,68, intervallo di confidenza (IC) 95 per cento, 0,53-0,86; P=0,0013]. La sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana non è stata raggiunta e il beneficio della PFS con la terapia D-Rd è stato mantenuto, con una riduzione del 47 per cento del rischio di progressione della malattia o di morte [HR: 0,53; IC 95 per cento, 0,43-0,66; p=0,0001]. Questi dati potranno costituire la base per le eventuali prossime sottomissioni alle autorità regolatorie.

Tutti i pazienti arruolati nello studio MAIA (n=737) erano affetti da mieloma multiplo di nuova diagnosi e non candidabili alla chemioterapia ad alte dosi e all’ASCT; hanno ricevuto le terapie D-Rd (n=368) o Rd (n=369) in cicli da 28 giorni. I pazienti sono stati trattati fino alla progressione della malattia o alla tossicità inaccettabile.
L’età mediana dei pazienti era di 73 anni (range, 45-90 anni). Con D-Rd la PFS mediana non è stata raggiunta, mentre con Rd è stata di 34,4 mesi [HR 0,53; IC 95 per cento, 0,43-0,66; p<0,0001]. Dei 186 pazienti del braccio Rd che hanno ricevuto un successivo trattamento, il 46 per cento ha ricevuto daratumumab.

“Questi ultimi risultati dello studio MAIA dimostrano l’impatto sulla sopravvivenza a lungo termine di daratumumab in combinazione con lenalidomide e desametasone nel trattamento di prima linea, un’ulteriore prova dell’importanza di questo anticorpo monoclonale nel trattamento del mieloma multiplo”, osserva Craig Tendler, Vice President, Late Development and Global Medical Affairs, Oncology, Janssen Research & Development. “Questi dati permettono di dare nuova speranza ai pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi che necessitano di trattamenti efficaci che migliorino gli esiti a lungo termine”.

“Nonostante il mieloma multiplo sia un tumore del sangue difficile da trattare e da curare, siamo lieti di vedere che questa terapia a base di daratumumab continua a fornire risultati positivi in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da progressione in pazienti affetti da mieloma multiplo di nuova diagnosi”, conclude Edmond Chan, EMEA Therapeutic Area Lead Haematology, Janssen-Cilag. “I nuovi risultati dello studio MAIA rafforzano il ruolo di daratumumab nel mieloma multiplo e riflettono il nostro impegno a cambiare la storia clinica di questa malattia”.

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