Deglobalizzazione, nel pharma c’è chi dice no

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“La nostra azienda è a favore del libero scambio e della liberalizzazione di tutte le regole del commercio”. Questo, in sintesi, il senso dell’intervento al China Development Forum di David Ricks, CEO di Eli Lilly. Una visione in netto contrasto con le politiche protezionistiche del presidente USA Donald Trump. E non è l’unico a pensarla così. Seppure con toni meno forti, anche il CEO di Johnson & Johnson, Alex Gorsky, che ha partecipato alla stessa conferenza di Pechino, ha definito le politiche di deglobalizzazione come “pericolose” per J&J. In realtà l’idea di Trump di favorire la produzione negli USA per aumentare i posti di lavoro non ha mai suscitato particolari inquietudini tra le multinazionali di Big Pharma. I dirigenti delle più importanti aziende farmaceutiche hanno incontrato il Presidente USA a fine gennaio, accogliendo con favore l’idea della crescita della produzione americana, per favorire la quale sono previsti incentivi. Ma la ferma posizione di Trump sul commercio internazionale, che ha portato ad esempio a tirare fuori gli USA dalla Trans-Pacific Partership, a criticare il North American Free Trade, promettendo di rinegoziarlo, e a proporre dazi del 20% sulle importazioni, è vista come un passo indietro rispetto alla globalizzazione. In particolare, la tassa sulle importazioni potrebbe danneggiare le aziende che producono farmaci.

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