Cefalea primaria cronica. A Camerae Sanitatis le riflessioni sull’ultimo miglio per la presa in carico della patologia

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Alla legge sulla cefalea primaria cronica, la 81 del 2020, manca l’ultimo miglio per raggiungere il traguardo della piena applicazione. Sul piatto ci sono 10 milioni di euro, a disposizione delle Regioni per la sperimentazione di modelli innovativi di presa in carico. I progetti regionali dovranno avere durata biennale (2023 e 2024), essere approvati dalle Giunte regionali entro e non oltre la fine del 2023 e quindi presentati al ministero della Salute. Il tempo stringe e le aspettative sono alte, come emerso nel corso dell’ultima puntata di Camerae Sanitatis, il format editoriale multimediale che nasce dalla collaborazione tra Sics Editore e la Rete Interistituzionale Scienza & Salute, con il contributo non condizionante di Abbvie.

Ospiti della puntata, condotta da Ester Maragò (Quotidiano Sanità) e dall’on. Angela Ianaro (presidente della Rete Interistituzionale Scienza & Salute), sono stati l’on. Ilenia Malavasi (commissione Affari Sociali della Camera), il sen. Ignazio Zullo (commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato), Pietro Cortelli (professore ordinario Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Lara Merighi (coordinatrice Laica di Al.Ce. Group Italia), Nicoletta Orthman (coordinatore medico scientifico Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere), Giorgio Sandrini (M.D. Professor of Neurology, Dept Brain and Behavior Sciences,University of Pavia, presidente CIRNA Foundation ONLUS) e Ugo Trama (responsabile U.O.D. Politica del farmaco e dei dispositivi medici – D.G. per la tutela della salute e il coordinamento del SS regione Campania).

 

La legge 81, ha ricordato Angela Ianaro aprendo il confronto, “ha avuto un percorso lungo e tortuoso, che però ha portato a un risultato non scontato, visto che parliamo di una patologia molto sottovalutata, seppure invalidante. Dopo lo sforzo del Parlamento, la palla passa alle Regioni, che speriamo possano muoversi bene e in fretta”.

La cefalea primaria, ha spiegato Pietro Cortelli, “ha una prevalenza intorno al 19% nella popolazione generale, mentre il 2-3% della popolazione generale soffre della forma cronica”. Primaria, ha spiegato l’esperto, significa che “non possono essere rilevate motivazioni organiche per quella condizione, né mutazioni o malformazioni”. Le cause della cefalea primaria cronica sono “invisibili”. La diagnosi, dunque, non avviene attraverso degli esami ma attraverso l’osservazione clinica.

Cortelli ha quindi spiegato che la situazione può non destare particolarmente allarme nei pazienti quando si soffre di un attacco di emicrania al mese, anche se sarebbe bene indagare, specie se la frequenza aumenta. “Si parla di cronicità quando gli attacchi sono più di 9-10 al mese. In questo caso – ha spiegato l’esperto – il dolore non è più una reazione del cervello a uno stato di malessere ma siamo di fronte a una malattia”.

Per Cortelli il modo migliore di affrontare questa condizione è rivolgersi al neurologo: “È il professionista che più ha le competenze e la sensibilità per valutare tutti gli elementi che possono portare alla diagnosi clinica e all’anamnesi, indirizzando il paziente verso quelle terapie e comportamenti inerenti gli stili di vita che possono contribuire a evitare la cronicizzazione o comunque a ridurre la frequenza e la gravità degli attacchi”.

L’ambito di intervento è dunque complesso. Per questo, secondo Ilenia Malavasi, per offrire una risposta adeguata ai pazienti è “indispensabile costruire una forte sinergia tra tutti i livelli istituzionali, Regioni comprese, clinici e associazioni dei pazienti”. Occorre poi “investire sulla formazione degli operatori sanitari e sulla nascita di una consapevolezza tra i cittadini, per consentire loro di riconoscere i sintomi ma anche di attuare gli stili di vita che aiutano a prevenire le malattie o il loro aggravamento”.
L’onorevole ha voluto poi sottolineare come l’attesa attuazione della legge a livello regionale sia “un passaggio particolarmente delicato, da monitorare con attenzione per assicurarsi che nessuna Regione sprechi le opportunità ma anche per garantire l’omogeneità dei servizi offerti ai cittadini”.

Con un accenno all’autonomia differenziata, Malvasi ha concluso: “Sarà necessario capire come impatterà sulla salute, non solo sulla cefalea. Certamente non potremo accettare di vedere peggiorare una situazione che già presenta, tra Regioni e territori, delle disomogeneità di trattamento per molte patologie. Va rivendicato che il Sistema sanitario è nazionale ed è nato non solo per curare, ma per sviluppare benessere, fare prevenzione, farci stare meglio”.

Ugo Trama ha garantito l’impegno delle Regioni ma sottolineato anche come si tratti di una sfida non semplice, dal momento che “le Regioni sono diverse e partono da condizioni diverse. Basti pensare a come quelle del Sud siano penalizzate dalla carenza personale legata ai limiti di spesa imposti dai commissariamenti. Le risorse finanziarie possono anche esserci, ma mettere in piedi percorsi assistenziali partendo da certe condizioni di debolezza non è semplice”, ha ribadito il dirigente della Regione Campania. “Questo – ha però chiarito – non è una giustificazione a non fare, bensì uno stimolo a fare meglio. Sicuramente le tecnologie, con la telemedicina e la teleassistenza, potranno rappresentare un importante supporto agli operatori nella parte sanitaria e non solo amministrativa”.

Trama ha spiegato che sulla cefalea, in particolare, la Campania sta lavorando alla messa a punto di una Rete: “La scommessa è il potenziamento della rete territoriale, perché nelle grandi città abbiamo già centri di eccellenza all’interno di strutture di rilievo nazionale. Tuttavia, considerato l’impatto e la prevalenza di questa patologia, è evidente che serva una Rete che porti alla presa in carico sul territorio non sono attraverso la medicina generale, ma anche potenziando l’assistenza ambulatoriale”.

Schematico e puntuale l’intervento di Lara Merighi, che ha chiesto anzitutto “la pubblicazione dei decreti per dare attuazione alla legge, di cui ancora non c’è traccia in Gazzetta Ufficiale”. La coordinatrice laica di Al.Ce. Group Italia ha quindi presentato le proprie istanze alla politica, a partire dall’inserimento della cefalea primaria cronica nei Lea per poi evidenziare l’importanza di “rendere disponibile la figura dello psicologo nei centri cefalee” ma anche della formazione presso i centri di “gruppi di auto-mutuo-aiuto, che portano benefici impressionanti ai pazienti”.

Per la coordinatrice laica di Al.Ce. è poi importante “la promozione e il potenziamento della formazione sulla cefalea tra i medici di medicina generale”, così come “la distribuzione di materiale informativo sulla cefalea nelle farmacie” e “nelle scuole, dal momento che sono tantissimi i ragazzi in età scolastica che soffrono di cefalee e spesso già in forma cronica”.

Infine è urgente, per Merighi, “intervenire sull’accesso alle visite in convenzione, perché è impensabile che per una visita in un centro cefalee oggi si debba aspettare dai 6 mesi ai 2 anni. Questo spinge il paziente a un consumo alto di farmaci che nel lungo periodo non saranno d’aiuto, bensì renderanno ancora più complessa la sua condizione e, dunque, il suo percorso di cura”.

Ignazio Zullo ha cercato di rispondere alle richieste avanzate da Merighi, concordando sul fatto che chi soffre di una patologia con caratteristiche di soggettività spesso si senta ancora più solo di quanto non avvenga per altre patologie. “Quando i pazienti non vengono presi sul serio per la loro condizione di sofferenza, si chiudono in loro stessi, in una situazione di solitudine e dolore fisico ma anche psicologico”.

Per il senatore è quindi fondamentale procedere in fretta con “la pubblicazione dei decreti in GU, la formazione dei professionisti e la creazione di una rete che consenta la collaborazione tra professionisti ma anche tra strutture”.

Quanto all’inserimento della cefalea nei Lea, per Zullo, nel breve periodo si potrebbe almeno pensare di “recuperare in parte il gap aggiornando il decreto ministeriale del 1999 che elenca le esenzioni per alcune patologie croniche e invalidanti”.

Nicoletta Orthman, da parte sua, ha chiesto anche maggiore attenzione a un punto di vista di genere sulle cefalee: “Per la Fondazione Onda l’emicrania è un tema molto caro, perché le donne sono le più colpite ma anche le più colpite da forme gravi. Quindi servono modelli innovativi con un orientamento di genere specifico”.

Giorgio Sandrini ha tirato un po’ le fila di quanto detto nel corso del confronto, condividendo l’importanza di una “valorizzazione del ruolo dei pazienti attraverso il loro coinvolgimento nei tavoli tecnici e parlamentari”.
Altro aspetto su cui investire potrebbe essere l’utilizzo di “tecnologie informatiche e strumenti di intelligenza artificiale, che consentano anche di ottimizzare e ridurre il tempo di visita, pur rimanendo imprescindibile il rapporto umano medico-paziente, soprattutto nel corso delle prime visite”.

Sandrini ha sottolineato come “l’Italia è un paese che nel campo delle cefalee ha competenze enormi” così come è il Paese che “per primo ha varato una legge come la 81, che però occorre ora implementare perché non si riduca a parole sulla carta”.

In chiusura di puntata, uno sguardo rivolto all’ambito terapeutico farmacologico. “Assistiamo a uno sviluppo enorme e celere di nuovi farmaci a disposizione e sempre di maggiore efficacia”, ha spiegato Giorgio Sandrini. Che ha evidenziato come, tuttavia, esista un problema legato agli altissimi costi di produzione e commercializzazione di questi farmaci. “A causa di questi costi, ogni Paese tende a creare filtri all’accesso e alla rimborsabilità delle terapie”. Questo “è per certi versi comprensibile, perché i bilanci devono tornare. Dall’altro, tuttavia, crea fortissime discriminazioni di accesso ai farmaci tra Paesi e tra cittadini dello stesso Paese”.

Per Pietro Cortelli sarebbe quanto meno importante “aggiornare più rapidamente questi requisiti di accesso, tenendo conto dei dati che registriamo nella pratica clinica reale, che spesso consentono di fare correzioni e miglioramenti rispetto a quanto emerso nei trial registrativi. Abbiamo bisogno di un sistema di accesso ai farmaci e rimborsabilità più dinamico”.

Lucia Conti

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