Nel 2019 sono stati realizzati più di 25 accordi di acquisizione nel settore delle biotecnologie, 14 dei quali hanno superato il miliardo di dollari. L’attività di fusione e acquisizione sembra peraltro ancora piuttosto vivace nel 2020, nonostante un primo semestre debole a causa della pandemia.
La ragione di questo boom? La maggior parte, se non tutte, le aziende farmaceutiche e biotecnologiche a grande capitalizzazione hanno ancora bisogno di ricerca e sviluppo, mentre lavorano parallelamente per riequilibrare le loro attività. Molte pharma stanno uscendo da anni impegnativi, caratterizzati dal rallentamento delle vendite dei prodotti storici dovuto, almeno in parte, all’aumento della concorrenza e alla presenza, sempre più massiccia, dei biosimilari sul mercato.
Il cancro, le malattie rare e, in misura minore, le malattie del sistema nervoso centrale sono le aree di business che interessano maggiormente i potenziali acquirenti. E l’offerta della pipeline in questi settori è aumentata a livelli record, dando vita a un grande assortimento che permette una vasta scelta alle pharma interessate.
Se il 2019 è stato un anno straordinario per le acquisizioni su larga scala, la seconda metà del 2020, secondo alcuni osservatori USA, vedrà concludersi merger meno onerosi perché molte aziende biotecnologiche, come Seattle Genetics, Vertex Pharma e Regeneron, hanno raggiunto dimensioni troppo grandi e sono quindi fuori mercato.
Tuttavia c’è ancora una buona rappresentanza di biotech che potrebbero far gola alle big pharma. Tra queste figurano Biohaven, Blueprint, Incyte e Sarepta.
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Sempre tra gli osservatori USA c’è chi ritiene che le aziende a grande capitalizzazione siano quelle che vedremo attive in operazioni di fusione e acquisizione nei prossimi mesi. Amgen, Biogen, Bristol Myers Squibb, Gilead Sciences, GlaxoSmithKline, Johnson & Johnson, MSD, Novartis, Pfizer e Sanofi sembrano le più accreditate.