Il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) ha raccomandato l’acido obeticolico – per l’uso di routine del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord – per il trattamento della colangite biliare primitiva, patologia rara che colpisce soprattutto le donne. Il farmaco sarà disponibile ai pazienti entro 90 giorni dalla pubblicazione della valutazione finale. La colangite biliare primitiva (CBP) è una delle cause principali di trapianto di fegato nelle donne adulte. Definita fino a un anno fa cirrosi biliare primitiva, ha cambiato nome proprio per la volontà, da parte della comunità scientifica internazionale, di sottolineare il fatto che si tratta di una malattia autoimmune che colpisce i piccoli dotti biliari del fegato, e per questo non legata all’alcol o a stili di vita non corretti. C’è stato finora un bisogno clinico non soddisfatto per i pazienti che non rispondono pienamente alle attuali terapie o sono intolleranti, e che perciò rimangono a rischio di progressione della malattia verso la cirrosi, il trapianto di fegato o la morte. Ma dopo quasi vent’anni, nel dicembre del 2016, l’acido obeticolico ha ricevuto l’autorizzazione in commercio nella UE. L’Italia ha avuto un ruolo essenziale nella storia di questo farmaco: il primo studio preclinico, infatti, è stato pubblicato nel 2002 sul Journal of Medicinal Chemistry da un team di ricercatori dell’Università di Perugia. Anche gli studi pilota, che sono proseguiti nel corso degli anni successivi per le diverse indicazioni cliniche, hanno coinvolto diversi centri italiani. Proprio pochi giorni fa, la conoscenza di questa rara patologia ha fatto un grande passo in avanti: è stato infatti definito il primo dato epidemiologico italiano, con una prevalenza stimata di 28 casi su 100.000 e un’incidenza di 5,3 casi su 100.000 l’anno nel 2015. I numeri sono stati forniti dal prof. Domenico Alvaro, Ordinario di Gastroenterologia dell’Università “Sapienza” di Roma, che ha presentato il suo studio nel corso del 50° meeting annuale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF), principale momento di incontro della comunità epatologica italiana. “Una pietra miliare nella storia della malattia”, ha commentato il prof. Alvaro. “Lo studio ha un notevole valore scientifico perché è stata usata una metodologia innovativa nel settore, e cioè studiare l’epidemiologia di una malattia coinvolgendo i medici di medicina generale e i loro assistiti. Riguardo ai risultati, c’è da mettere in evidenza come il rapporto femmine/maschi di 4,5:1 sia molto più basso di quanto comunemente si ritenga, ed in linea con studi epidemiologici condotti in altri paesi. Inoltre – prosegue l’esperto – la CBP risulta frequentemente associata ad altre patologie, per cui ancora una volta è necessario sottolineare come il trattamento di questa malattia debba tener conto delle comorbidità (es. diabete, malattie del connettivo ecc.), che impattano ulteriormente sulla qualità e durata della vita”.
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